Con le riforme momentaneamente in secondo piano, ora è sul fronte del lavoro e dell’economia che Renzi deve difendersi dal fuoco incrociato delle opposizioni e da quello amico nella sua stessa maggioranza. Il dl lavoro arriva oggi in aula a Montecitorio. Il testo originario del governo è stato modificato in commissione su pressione soprattutto della minoranza Pd. Ncd e Sc minacciano però di non votare a favore della legge se le modifiche non verranno cancellate. «La commissione Lavoro ha ridotto del 50% la spinta propulsiva della legge», mitraglia il capo del senatori Ncd Sacconi. Urge, di conseguenza, tornare alla versione originaria nonché «ripristinare corretti rapporti nella maggioranza». I deputati sono anche più decisi. Pizzolante, altro Ncd, va giù durissimo: «Daremo battaglia e se il governo metterà la fiducia lo scontro si sposterà al Senato dove gli equilibri sono diversi».
Le modifiche incriminate non sono in realtà sostanziali: la legge resta una spinta decisa in direzione del precariato come condizione generale del lavoro. Però le correzioni, ispirate dalla Cgil, smussano leggermente la mazzata. Il tetto delle proroghe per i contratti a termine è sceso da 8 a 5 volte, ma sempre nell’arco smisurato di 36 mesi: il triplo di quanto stabilito a suo tempo dal governo Monti, ed era già un’enormità. I congedi di maternità saranno conteggiati ai fini del «diritto di precedenza» per l’assunzione a tempo indeterminato. La sanzione per chi supera il tetto del 20% dei dipendenti a tempo determinato sarà l’assunzione piena. Infine, le aziende con più di 30 dipendenti potranno assumere nuovi apprendisti solo se avranno assunto a tempo indeterminato almeno il 20% di quelli già impiegati nei 36 mesi precedenti.
Il fronte Ncd-Sc reclama l’eliminazione delle modifiche relative agli apprendisti e alle sanzioni per chi supera il 20% di dipendenti precari. Il governo non ha alcuna intenzione di cedere, anche perché la minoranza Pd non accetterebbe retromarce. Il ministro Poletti è tassativo: «Abbiamo rispettato i contenuti fondamentali del decreto senza stravolgerlo». Che il governo eviti possibili trappole con la fiducia, oggi alla Camera e a maggior ragione quando la legge approderà al Senato, è di conseguenza quasi certo.
Il pericolo, per Renzi, è che la turbolenza nella maggioranza finisca per dare una mano agli attacchi concentrici delle opposizioni, che prendono di mira proprio la politica economica e denunciano con parole quasi identiche l’inconsistenza della misure del governo. Fi e M5S accusano il governo di non avere le coperture per gli sgravi Irpef e per l’inserimento strutturale di 80 euro al mese nelle buste paga dei lavoratori a reddito più basso. Uguali gli argomenti, i toni e persino gli espedienti propagandistici. Grillo pubblica sul suo blog un articolo dell’Economist, uscito subito dopo il primo discorso del premier alle camere, molto critico e ancor più scettico sulle riforme promesse da Renzi. Il Mattinale forzista, che già aveva pubblicato l’articolo a suo tempo, si adegua di corsa e lo sbatte di nuovo in rete con molta più evidenza.
Le critiche del quotidiano inglese saranno pure vecchie, però non datate: gli argomenti adoperati allora potrebbero essere ripresi uno per uno anche oggi. Ma quel che importa non è tanto la correttezza del colpo basso quanto la gara tra Fi e M5S che si è accesa, e che s’infiammerà ogni giorno di più di qui al 25 maggio, per conquistare agli occhi degli elettori la palma della vera opposizione dura alle politiche imposte dall’Europa e dunque alle misure del governo, additate come puramente cosmetiche. Fumo negli occhi per fingere che ci sia stato un cambiamento di rotta in realtà inesistente.
In ballo non c’è il sorpasso dei grillini sugli azzurri, dato ormai da tutti per certo, ma le dimensioni della forbice tra i due partiti. Se Fi tallonerà Grillo, Berlusconi continuerà a difendere l’Italicum e le riforme istituzionali, convinto di poter recuperare facilmente lo svantaggio grazie all’alleanza sicura (ma non gratuita) con Lega e FdI. Se invece lo scarto sarà di parecchi punti, l’intero patto del Nazareno vacillerà paurosamente.
Con le buone o più probabilmente con le cattive, cioè con la fiducia, Renzi avrà ragione del dissenso interno alla maggioranza sul dl lavoro e tirerà diritto fino al 25 maggio, confortato dai sondaggi oggi e probabilmente anche dai risultati elettorali domani. Ma d’ora in poi, e sempre più dopo il 25 maggio, la sua marcia sarà un percorso di guerra.