E adesso, anzi tra diciotto mesi più due, largo al «più degno e dinamico futuro» che il presidente Giorgio Napolitano prevede per l’Italia, una volta approvate le riforme costituzionali. Ma i sostenitori del nuovo patto costituente vedono l’eden dalla porta di servizio. È per soli quattro voti che il senato è riuscito a impedire il referendum sul disegno di legge governativo che deroga all’articolo 138. E così ora la Costituzione potrà essere riscritta dalle fondamenta nell’anno e mezzo che ha in mente il governo, senza che il popolo possa ostacolare la corsa. Vedremo se sarà il paradiso.

Il colpo di spingere le riforme ai tempi supplementari, e sospingere nel vuoto il governo che alle riforme ha legato il suo destino, stava riuscendo all’ala dura del Pdl berlusconiano. Se la soglia dei due terzi dei senatori è stata raggiunta solo per un soffio – è fissato a 214, i sì sono stati 218 – non lo si deve all’opposizione di Cinque stelle e Sel, insufficiente a impedire il quorum. Né agli inquieti del partito democratico, perplessi sulle riforme e però ligi nel votare a favore, tranne cinque assenti (Amati e Tocci come già in prima lettura, più Mineo, Turano e Filippi) e un astenuto (Casson)- altri otto hanno accompagnato il sì con un documento in cui prendono le distanze dal disegno di legge che hanno votato. No, sono stati gli ultras di Arcore a far ballare il senato, in 11 si sono astenuti e in 14 non si sono presentati, tutta la cerchia ristretta del cavaliere. I lealisti berlusconiani hanno provato ad affondare il colpo, approfittando del fatto che il totem della giustizia è rimasto formalmente un tabu delle riforme. Il ministro Quagliariello, il meno amato dai «falchi», ha provato a ricordare che di giustizia se ne parlerà ugualmente, anzi sarà direttamente il governo a fare le sue proposte sulla scia di quelle elaborate dai saggi di Napolitano (tutte gradita al centrodestra). Ma niente, a Minzolini che si era astenuto già in prima lettura si è aggiunto l’ex ministro Nitto Palma e un discreto numero di senatori meridionali. Il blitz però si è fermato a quattro passi dal successo, e dunque la vittoria è stata degli altri, dei «moderati» tendenza Alfano che possono celebrare così il primo successo delle larghe intese de-berlusconizzate. «Quanto accaduto oggi al Senato rende la giornata ancora più importante e la vittoria riforme ancora più forte», è la sintesi in 140 caratteri proprio di Quagliariello.

Napolitano, che pochi giorni fa ha ricordato di aver legato la riconferma al Colle al compimento delle riforme, condensa le sue felicitazioni nella forma di un ultimatum: «Non si può più girare a vuoto sulle riforme, c’è l’occasione in questo 2013- 2014, di giungere a conclusioni valide, ed è un’occasione da non sprecare». I tempi sono quelli dettati dal «cronoprogramma» voluto dal governo, e il secondo passaggio intorno al 10 dicembre alla camera non sarà, visti i numeri, di alcun ostacolo. Entro cinque giorni dall’approvazione definitiva saranno nominati i componenti del Comitato dei 42 senatori e deputati che dovranno redigere la nuova Carta; entro dieci giorni, praticamente a natale, il comitato si riunirà la prima volta. Avrà sei mesi per preparare la proposta o le proposte di legge, la traccia la darà il lavoro dei «saggi», quelli del governo, che oltre ad argomenti generalmente condivisi come la riduzione dei parlamentari e la fine del bicameralismo paritario, hanno immaginato una palingenesi della forma di governo parlamentare. Poi tre mesi a testa tra camera e senato per approvare in prima lettura, 45 giorni (invece dei 90 oggi previsti) di sosta e la conclusione dovrebbe arrivare nei primi mesi del 2015. Ci potranno essere i referendum confermativi. La procedura deroga completamente all’articolo 138 che da 65 anni disciplina la revisione costituzionale, allargando la possibilità di convocare i referendum al termine del percorso, ma stringendo assai l’iter e le possibilità di intervento dei singoli senatori e deputati. Non saranno possibili sospensive o pregiudiziali nel corso dei lavori del comitato, solo i capigruppo o 20 deputati o 10 senatori potranno sub-emendare le modifiche del governo – a patto di riuscire a farlo in tempi rapidissimi.
Tutto questo se il governo terrà, e le spallate come quella tentata ieri mattina dalla fazione di Arcore non andranno a segno. Sarà difficile, visto che sul prossimo argomento in pista il partito di Berlusconi tende a ricompattarsi. Nel suo intervento in aula, il ministro Quagliariello ha fatto capire che l’esecutivo potrebbe intervenire per decreto sulla legge elettorale. Lasciar fare alla Consulta (che ha sotto esame il Porcellum), ha spiegato, sarebbe «un’altra Caporetto per la politica». Il Pdl si è immediatamente imbizzarrito, temendo un’intesa per il doppio turno che potrebbe escluderlo. «Volete far saltare il tavolo?», ha chiesto, minacciando, il senatore Bruno al suo compagno di partito Quagliariello. Sospetti e diffidenze accompagnano la fase due delle larghe intese. Il clima ideale per riscrivere la Costituzione. Senza chiedere ai cittadini se sono d’accordo.