Ma perché il relatore è Costa?, chiediamo a un deputato di maggioranza della commissione giustizia. «Perché ci facciamo del male», è la risposta secca. Accade infatti che Enrico Costa, ex di Forza Italia oggi nel gruppo di Calenda e +Europa, abbia proposto alcune integrazioni al parere che la commissione deve dare sul decreto legislativo sulla presunzione di innocenza. Il parere non è vincolante, ma il passaggio parlamentare riesce comunque a mandare in tilt la maggioranza.

Il decreto attua la legge di delegazione europea e, in sostanza, stabilisce che gli indagati non possono essere indicati come colpevoli dagli inquirenti. Né nelle dichiarazioni alla stampa, né nelle denominazioni delle inchieste (ricordiamone alcune recenti, tutte della stessa mano: Big Bang, Golgota, Quarta chiave, Quinta bolgia). A fatica, il governo aveva trovato nel decreto legislativo un compromesso tra i 5 Stelle e gli altri partiti della coalizione, chi per convinzione chi per convenienza più attenti alle garanzie. Ma Costa ha tentato il più uno, inserendo nel suo parere il divieto assoluto di conferenze stampa delle procure, neanche «nei casi di particolare rilevanza pubblica», il divieto di comunicazione del nome del magistrato inquirente e il divieto per la polizia giudiziaria di diffondere comunicati stampa. Pd, Leu e 5 Stelle hanno detto di no, accorgendosi però di essere in minoranza in commissione (a conti fatti, di un solo voto) perché con Costa avrebbe votato Italia viva assieme a tutto il centrodestra. Quindi meglio fermare tutto. Il presidente della commissione, che è del Movimento 5 Stelle, decide di rinviare.

In fondo non è proprio un provvedimento urgentissimo. Costa attacca il Pd: «Per non irritare Conte, calpestano gli stessi principi costituzionali che sbandierano quando conviene loro». E il Pd reagisce: «Con il suo solito giochino rischia di demolire il punto di equilibrio avanzato trovato dalla ministra Cartabia», dice la responsabile giustizia Rossomando. Ma poco dopo la stessa commissione concede il bis.

Questa volta si tratta di un provvedimento urgente, le modifiche all’ordinamento penitenziario chieste dalla Corte costituzionale per la quale non è legittimo escludere dai permessi premio i mafiosi per il solo fatto che non collaborano con la giustizia. La commissione la settimana scorsa ha ascoltato una lunga serie di magistrati inquirenti in servizio o non (Sabella, Caselli, Ardita, Tescaroli) che hanno lanciato l’allarme per un presunto cedimento dello stato alla mafia. Il sostituto pg di Palermo Scarpinato ha per l’occasione riesumato la teoria della trattativa tra Stato e Cosa nostra. Ora la commissione giustizia deve scegliere un testo base tra quelli che si propongono di dare attuazione all’ordinanza della Corte. Sono tre (Pd, M5S, Fd’I) e assai diversi. Il presidente grillino opta per il testo 5 Stelle, che in pratica sterilizza le decisioni della Consulta. Ma neanche questa forzatura ha i voti, per cui arriva inevitabile un altro rinvio. Ma in questo caso il tempo è poco. A maggio 2022 se il parlamento resterà paralizzato la Corte cancellerà, in ogni caso, l’ergastolo ostativo.