Non ha mai visto una serie televisiva: «Non riesco a seguirle forse per mancanza di tempo, ma volevo imbarcarmi in un progetto televisivo». Eppure Antonio Albanese, autore regista e protagonista dei sei episodi da 25 minuti de I topi – su Rai3 dal 6 ottobre e in anteprima dal 2 ottobre ottobre su RaiPlay, riesce nell’intento di creare un racconto intelligente, raffinato che racconta la mafia, il latitanti e le loro famiglie ma anche molti aspetti della società italiana. «Un progetto – spiega l’attore durante l’incontro di presentazione alla Casa del Cinema – nato circa tre anni fa guardando un servizio dove si vedeva un uomo disperato che usciva da un armadio bunker dove era rimasto rinchiuso per otto mesi. E li ho pensato; ma questo è un imbecille». La comedy in cui è affiancato fra gli altri da Nicola Rignanese, Lorenza Indovina, Tony Sperandeo, è una coproduzione Rai Fiction Wildside, in collaborazione con Direzione Produzione TV – Centro Produzione Rai di Torino. Albanese riveste i panni di Sebastiano, nipote di un capomafia rinchiuso nello scantinato di una villetta al nord da 12 anni, della sua famiglia composta da una moglie «ignorante come lui», una figlia universitaria in lotta con il padre pur mantenendo una logica mafiosa, e un figlio sognatore e stupidotto.

«Mi sono documentato moltissimo in modo da poter scrivere la storia di quest’uomo ignorante, maschilista che vive come un topo insieme alla moglie ai figli, allo zio boss Vincenzo che ascolta Isoradio e sogna che il protagonista scavi un tunnel per lui, per un tuffo al mare in incognito, uno scherzo non da poco visto che si tratterebbe di oltre 100 chilometri di tunnel. È lì l’ignoranza, la follia». Sebastiano vive in un mondo fatto di cunicoli, di incontri con altri latitanti che vivono nel «mondo di sotto», nascondigli creati ad hoc nei loculi dei cimiteri, tra faide mai sopite e senatori corrotti. «Ho narrato lo stile di vita dei latitanti di mafia – sottolinea, usando l’ironia e il paradosso con l’intento di far emergere il ridicolo e l’assurdità di quella condizione. Non gli è stato dato nessun fondamentale, è molto ignorante».

Una sceneggiatura che inserisce nella fiction i racconti veri presi dalla cronaca, così come ognuno dei sei episodi ruota intorno al  modo di essere del mafioso, comportamenti di cui il protagonista è ovviamente ‘fiero’. «Molte delle mie storie – chiosa l’attore – nascono dalle vicende della mia famiglia, costretta ad emigrare dalla Calabria al nord per sbarcare il lunario. Mio padre ha dovuto lasciare casa, la moglie e vivere dodici mesi solo in uno scantinato perché ai meridionali non si affittava casa. O come mio zio Nino scambiato per ebreo, rinchiuso in un campo di concentramento da dove fugge facendosi a piedi dall’Austria alla Sicilia. Un viaggio durato sei mesi dove è sopravvissuto mangiando lumache rose, piene di proteine. Un uomo che non fidava di nessuno, la paura l’aveva distrutto».