Editoriale

Mafia e 5 Stelle, gli incubi di Berlusconi

Mafia e 5 Stelle, gli incubi di Berlusconi

Altro che governo, «a Mediaset pulirebbero i cessi», Berlusconi dixit. L’ingrato compito, che qualcuno deve pur fare, viene conferito dal Cavaliere agli eredi di Grillo perché rappresentano «il partito dei […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 21 aprile 2018

Altro che governo, «a Mediaset pulirebbero i cessi», Berlusconi dixit. L’ingrato compito, che qualcuno deve pur fare, viene conferito dal Cavaliere agli eredi di Grillo perché rappresentano «il partito dei disoccupati», che, in quanto tali, possono essere proficuamente destinati a svolgere l’umile mansione sociale.

La sbruffonata cade nel giorno meno propizio alle battutacce, perché ieri è arrivata l’attesa sentenza sulla cosiddetta «trattativa», con le pesanti condanne di carabinieri, boss e politici tra Dell’Utri, co-fondatore di Forza Italia, capo di Publitalia e fraterno sodale del padrone di Mediaset.

Giunto al tramonto della sua parabola politica, il Cavaliere non si rassegna, perde lucidità, è stretto all’angolo. E allora pesca nel suo peggior repertorio la raffinata analisi del 32 per cento degli italiani elettori del Movimento 5Stelle.

A ben vedere si tratta di una variante sul tema dei «coglioni» con cui il condannato per frode fiscale definiva chi si accingeva a votare il centrosinistra di Prodi nel 2006.

E, a parte il fatto che proprio Berlusconi ha evitato di pulire i cessi di Cesano Boscone quando i giudici ce lo spedirono per svolgere i servizi sociali, questa immagine di Fico e Di Maio armati di ramazza, merita attenzione se non altro perché ci rammenta la pasta dello statista che ha spadroneggiato per vent’anni in Italia, comprandosi parlamentari, gonfiando le personali ricchezze e «accordandosi con la mafia» come gli ha replicato ieri, Morra, senatore pentastellato.

Finito in Molise dove il suo candidato sfida quello grillino, Berlusconi, dopo il trattamento riservato ai 5Stelle, ha espresso il desiderio di avere presto un governo di centrodestra con il grazioso omaggio dei voti sia del gruppo misto che del Pd.

Vorrebbe riaprire il mercato di deputati e senatori, ritrovare la «profonda sintonia» con Renzi e mettere fine all’incubo di un governo pentastellato che, tra conflitto di interessi, pluralismo dell’informazione e lotta alla corruzione, gli toglie il sonno.

Cedono i freni inibitori del Cavaliere mentre nessun governo è all’orizzonte.

Rotto l’asse tra centrodestra e grillini, il Quirinale verificherà se una maggioranza parlamentare può essere esplorata altrove.

Il capo dello stato Mattarella ha dato alla presidente del senato Casellati la possibilità, limitata nel tempo e nei confini, di parlare con 5Stelle e centrodestra. Missione fallita, e il Colle esclude qualunque ipotesi di acconsentire alla eventuale richiesta del capo della Lega di avere l’incarico per verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare.

Mancano parecchi voti, Napolitano in una simile circostanza, lo negò a Bersani, Mattarella non lo accorderà a Salvini.

Anche perché se fallisse il tentativo, cadrebbe l’attuale governo in carica e l’Italia resterebbe senza nessun governo fiduciato dal parlamento al timone. Oltretutto il leader leghista potrebbe cogliere la palla al balzo e chiedere di tornare al voto.

A meno di vedersi arrivare sulla scrivania un contratto di governo a doppia firma Salvini-Di Maio, il capo dello stato riflette sulle modalità di affidare al presiedente della camera, Fico, un secondo mandato esplorativo.

Naturalmente il Pd resta l’ago della bilancia.

Per decidere cosa fare dovrebbe riunire i suoi organismi dirigenti, chiedersi perché parte dei suoi elettori hanno già risposto alla domanda votando i 5Stelle.

Magari fare un referendum tra gli iscritti.

Invece a parlare è sempre quella indefessa dozzina di parlamentari, inchiodati alle poltroncine di Porta a Porta, a nome di quel mazzo di correnti in cui è diviso il partito.

Come se quel che è in gioco in questa fase politica non meritasse un pronunciamento largo di chi è rimasto nel Pd.

L’ex segretario nello stallo ci sguazza, pensa all’organizzazione della prossima Leopolda tra una viaggio e l’altro in Qatar, tranquillo perché le opposizioni interne sembrano temere la loro stessa ombra.

Nello stallo è gioco-forza avanzino a passi felpati i famosi tecnici, che sui giornali si dicono lusingati di essere tra i papabili del cosiddetto governo del presidente. Degne persone, ma su questo fronte abbiamo già dato.

Tra un po’ comincerà il tam-tam dei conti pubblici, delle manovre di bilancio e il paese avrebbe bisogno di una direzione politica, di un governo che i pentastellati chiamano di cambiamento per chiudere la stagione iniziata con Berlusconi e proseguita con Monti.

Per fortuna l’Italia è anche quella di don Bello, il vescovo pugliese al quale ieri il papa ha dedicato il suo viaggio a Molfetta.

Riprendendone l’esempio e gli insegnamenti, il papa è tornato a invocare la pace, la giustizia sociale e l’accoglienza.

Ad ascoltarlo decine di migliaia di persone del profondo Sud. Una massa di pentastellati disoccupati.

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