Quando l’inchiesta su Mafia Capitale prese il via, Virginia Raggi sedeva in consiglio comunale probabilmente non sapendo cosa l’aspettava. Ieri, da sindaca, ha aspettato la sentenza nell’aula bunker di Rebibbia. Quando è arrivato il verdetto, a nome della città che si era costituita parte civile ha incassato le condanne bipartisan a esponenti delle passate amministrazioni e ribadito lo schema che l’ha condotta al vertice dell’amministrazione capitolina: «Hanno ucciso Roma, hanno mortificato la dignità dei cittadini e generato un immenso danno d’immagine all’Italia intera – dice Raggi – Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo determinante di una classe politica compiacente, a volte addirittura asservita a questi delinquenti. E oggi è la vittoria dei cittadini, della società civile e della legalità sulla criminalità, sul malaffare e sulla vecchia politica». Il capogruppo del M5S in assemblea capitolina Paolo Ferrara esulta: «Abbiamo aspettato questo momento per anni. È stata certificata l’esistenza di un sistema colluso tra criminalità e politica che ha messo in ginocchio Roma. E ne stiamo ancora pagando gli effetti.

È un giorno di festa perché la giustizia ha vinto». Dalle opposizioni in Campidoglio arrivano parole di diverso tono. Roberto Giachetti sfidante di Raggi alle ultime elezioni amministrative nota «il venir meno del reato di associazione mafiosa» ma considera che «l’entità delle sentenze non va sottovalutata in nessun caso, così come non va sottovalutato il lavoro di bonifica morale della città che resta urgente e necessario».

«Non è per nulla confortante che il tribunale di Roma riconosca con condanne pesantissime, un così esteso coinvolgimento di amministratori in un’associazione a delinquere semplice – riflette invece Stefano Fassina, che si era candidato a sindaco con Sinistra Per Roma – Ma è evidente la differenza con un quadro accusatorio che descriveva i vertici politici e amministrativi della capitale d’Italia responsabili di associazione mafiosa». Per la consigliera e vicepresidente della commissione antimafia della Regione Lazio Marta Bonafoni il fatto che sia caduta l’aggravante mafiosa è «senza dubbio importante considerato l’impatto che questa inchiesta ha avuto a Roma e in Italia». «In ogni caso – prosegue Bonafoni – pensiamo che soprattutto adesso sia necessario che ognuno svolga il proprio ruolo: la procura fa la procura, i magistrati fanno i magistrati, la politica è la politica. Crediamo quindi che vada evitata ogni lettura dietrologica». Da destra parla Fabio Rampelli, esponente di Fratelli d’Italia in passato al fianco del sindaco Gianni Alemanno, inizialmente indagato. La sua analisi è diretta a smontare l’emergenza. «A Roma si consumano reati di corruzione, concussione, estorsione, turbativa d’asta, riciclaggio, truffa aggravata eccetera contro la pubblica amministrazione e contro i cittadini – dice il deputato – Sono reati infami e infamanti che le Procure devono indagare, i magistrati punire e i partiti prevenire buttando fuori corrotti e avventurieri. A Roma ci sono gli stessi delinquenti di Milano, Bologna e Venezia, ma nessuna mafia».

Al di fuori dei partiti, la voce di Libera esprime qualche dubbio: «La sentenza va rispettata ma ci lascia perplessi, attendiamo di leggere le motivazioni», commentano dall’associazione antimafia. E ancora: «Abbiamo sempre detto durante il processo che eravamo davanti a presenze corruttive rafforzate da condotte mafiose. Una criminalità violenta e predatoria ha inquinato e condizionato il tessuto sociale, politico ed economico. Noi continueremo a mantenere alta la guardia». Giu.Sa.