Centri medici, case popolari, associazioni di quartiere, depositi di materiale impiegato nelle misiones del governo nei quartieri poveri… Sono questi gli obbiettivi dei gruppi oltranzisti, dediti alle «guarimbas» in Venezuela: non pacifici studenti, ma personale addestrato, già visto all’opera nelle violenze post-elettorali del 14 aprile, in cui hanno perso la vita 11 militanti chavisti. A dirigere le operazioni di guerriglia urbana, vecchi e nuovi attrezzi del golpismo, ossessionati dalla «paura del comunismo» e dalla presenza dei medici cubani che connotano «la dittatura di Nicolas Maduro».
Alle istruzioni inviate tramite Twitter dal generale in pensione Angel Vivas, noto oppositore, si devono le ultime morti di ignari cittadini, che tornavano a casa in moto e che non hanno visto in tempo le trappole ideate dai «guarimberos»: filo spinato teso a bloccare le strade e olio sull’asfalto. Il giovane Elvis Duran è stato decapitato così, e nello stesso modo ha perso la vita una giovane donna ed è stato gravemente ferito il suo bambino. Vivas è salito sul tetto armato di mitra, per evitare che i poliziotti perquisissero casa sua, militanti di opposizione si sono radunati intorno alla residenza per impedirne l’arresto.

Intanto, gruppi di motociclisti hanno manifestato pacificamente contro i blocchi stradali e contro la demonizzazione di cui sono oggetto da parte delle destre. Sono in molti, in Venezuela, a guadagnarsi da vivere con le moto-taxi o come pony express, in maggioranza provenienti dai quartieri più poveri. Il chavismo ha organizzato e tutelato il loro lavoro spesso informale, dando uno scopo sociale anche a quelli che vivevano nella marginalità extralegale, alla mercé delle grandi bande. I motorizados sono una componente cospicua dei collettivi territoriali, molti dei quali attivi nello storico quartiere popolare del 23 Enero. Da lì proveniva Juancho Montoya, ucciso il 12 febbraio, inizio delle manifestazioni di opposizione: da mano per ora ignota, la stessa che ha eliminato un giovane di opposizione, Alejandro Dacosta.
Montoya era un militante molto conosciuto, coordinatore della rete di collettivi che ha risposto positivamente alla proposta di disarmo inviata da Nicolas Maduro, sulle orme del suo predecessore, Hugo Chavez, scomparso il 5 marzo. E ieri i collettivi del 23 Enero (dove venne cacciato, nel ’58, il dittatore Marco Pérez Jimenez) hanno ricordato Montoya, e hanno alzato bandiere di pace. La destra attribuisce ai «colectivos» la responsabilità di tutte le violenze e, come già fece dopo il golpe del 2002 per i circoli bolivariani di allora, ne chiede la sparizione: «I collettivi sparsi in tutto il paese – ha detto Juan Barreto, dirigente del partito Redes – animano le iniziative territoriali contro l’individualismo, costruiscono un’altra socialità che fa paura al capitalismo».

Un’inchiesta realizzata tra il 14 e il 24 febbraio dall’International Consulting Service (Ics) in tutti i 25 stati del Venezuela ha riscontrato che l’81% dei cittadini definisce violente le proteste contro il governo. Il 52% sostiene che la libertà di espressione è «molto garantita», il 19% «mediamente garantita» e il 22% «poco garantita». La violenza si è concentrata solo nell’8% del territorio nazionale – ha detto il governo – attivata da piccoli gruppi che portano avanti una strategia destabilizzante. «Smonteremo il colpo di stato con pace, giustizia e uguaglianza», ha affermato ieri Maduro apprestandosi a ricevere i governatori di tutti gli stati del paese nel Consiglio federale di governo. Hanno accettato di andarci anche diversi leader di opposizione. Ci sarà il potente governatore dello stato Lara, Henry Falcon, che un tempo si fece eleggere coi chavisti per poi cambiare subito casacca. E ci sarà Henrique Capriles, che governa il ricco stato di Miranda – e che ha corso (perdendo) alle due ultime presidenziali, prima con Chavez e poi con Maduro- in quanto candidato della Mesa de la unidad democratica (Mud). La sua litigiosissima coalizione da tempo vorrebbe cambiare il cavallo perdente. E questo spiega il protagonismo della parte più filo-atlantica (Leopoldo Lopez e Maria Corina Machado) o opportunista (l’ex esponente del vecchio centrosinistra, Antonio Ledezma) nelle proteste di piazza. Tutti chiedono «la salida», la fuoriuscita dal governo di Maduro. È l’unico obiettivo delle proteste. Capriles, però, vuole giocare su più tavoli, e sostiene di voler ricorrere alla via istituzionale: un referendum revocatorio possibile a metà mandato previa raccolta di firme.

Intanto, a una persona che è andata a visitare in carcere Lopez (dentro come mandante delle violenze) è stata sequestrata «una mappa di tutta l’industria petrolifera: oleodotti, gasdotti, raffinerie, campi petroliferi», ha sostenuto il governo. E la Procuratrice generale, Luisa Ortega Diaz, ha denunciato «la campagna di discredito internazionale». I morti – ha detto – sono saliti a 13; le persone fermate, 579; 529 sottoposte a firma, solo 45 in carcere. E per far luce su chi abbia provocato le morti, sarà istituita una Commissione per la verità, composta da personalità indipendenti, tra cui giornalisti ed esponenti della chiesa. Nel campo della Mud, c’è invece chi chiede «un governo di unità nazionale» con la mediazione delle gerarchie ecclesiastiche notoriamente schierate a destra.