Al Palazzetto delle carte geografiche, la sala è piena. Si attende Nicolas Maduro, presidente del Venezuela, per l’ultima tappa del suo viaggio a Roma. Domenica ha ritirato il premio alla Fao perché il suo paese ha raggiunto con molto anticipo le prime «Mete del millennio», l’altroieri mattina ha visto papa Bergoglio e nel pomeriggio il presidente Napolitano. Per la serata è stato organizzato un incontro con le reti sociali.

Attivisti, politici, intellettuali, provenienti da tutta Italia, sono sul posto da diverse ore. In molti non riusciranno a entrare. All’ultimo è stato inserito un gruppo di bambini e bambine con relativi accompagnatori: testimoniano la buona riuscita di un progetto per il trapianto di midollo osseo, realizzato tra Italia e Venezuela con i finanziamenti dell’impresa petrolifera Pdvsa.

Prima del governo Chávez, Pdvsa era «uno stato nello stato», un comitato d’affari che rispondeva ai grandi capitali multinazionali e non al proprio paese. Dal 1998 invece i proventi del petrolio (di cui il Venezuela possiede le più importanti riserve certificate) sono controllati dallo stato, e servono per le spese sociali: istruzione, pensioni e sanità. «Entro il 2018 – promette il presidente – avremo 60.000 medici, finora ne abbiamo formati 14.000».

Salta anche la prevista conferenza stampa che avrebbe dovuto precedere l’iniziativa: all’improvviso, Maduro ha deciso di rendere omaggio alla tomba di Gramsci, perno del socialismo del XXI secolo: «Abbiamo fatto un giuramento gramsciano: per una rivoluzione socialista basata sulle idee di quest’uomo che morì resistendo al fascismo, senza mai piegarsi», dice alla sala. E ricorda che il presidente Hugo Chávez, scomparso il 5 marzo, «fu un grande ammiratore di Gramsci, di cui ha abbracciato molto presto tutti quei nuovi concetti di rivoluzione democratica, di giustizia, che noi continuiamo a praticare». Una ragazza interrompe il presidente per parlargli della sua associazione italo-venezuelana. Maduro la invita al tavolo, poi riprende a parlare.

Lo «spirito» della «rivoluzione bolivariana» è anche questo: autentico e improvvisato, ma anche tenace e caparbio, capace di trovare guizzi inediti e proprie alchimie. Maduro e il suo gruppo dirigente hanno preso in mano un paese cresciuto ma in lutto, orfano di un uomo amato e odiato con un’intensità fuori dal comune, come fuori dal comune era la sua capacità di sentire il ritmo di un popolo e quello del tempo. Contro venti e maree, intendono proseguire sul «terreno minato» di un «nuovo socialismo umanista, boliviariano, gramsciano e cristiano».

Un progetto che punta sulla democrazia partecipata e che alla logica dei poteri forti contrappone quella della giustizia sociale. Maduro è venuto a chiedere solidarietà e sostegno per il suo «governo di strada», inaugurato il giorno dopo aver assunto l’incarico, il 19 aprile. Il 14, la vittoria con uno stretto margine di voti sul candidato delle destre Henrique Capriles Radonski, rappresentante della Mesa de la unidad democratica. Capriles non l’ha accettata, ha chiamato i suoi alla rivolta e ha chiesto appoggio ai padrini politici a livello internazionale (in primo luogo Usa, Colombia, Osa, e destre europee). Maduro ha portato l’opuscolo Victimas de la Arrechera, che documenta i 4 giorni di «violenza fascista» postelettorale: 11 militanti chavisti uccisi, 78 feriti, incendi e devastazioni ai dispensari di quartiere in cui lavorano e vivono i medici cubani impegnati nelle misiones.

Al papa argentino, «che porta il nome di Francesco d’Assisi», Maduro ha proposto un intervento comune proprio nell’ambito delle misiones, i piani sociali del governo rivolti agli esclusi di sempre: con l’appoggio della chiesa – ha spiegato – le misiones si potrebbero estendere ad altre parti del mondo, anche con il sostegno dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America, ideata da Cuba e Venezuela. Una sfida a superare la logica dell’assistenza in favore della partecipazione politica e dell’autorganizzazione sociale, principale punto di forza del modello bolivariano. Bergoglio l’accetterà o sceglierà di svolgere contro questo variegato socialismo dell’America latina lo stesso ruolo nefasto giocato da Wojtyla contro il marxismo e la Teologia della liberazione?

Simbolicamente, il presidente venezuelano ha portato al papa anche un’altra richiesta: la beatificazione di José Gregorio Hernandez (1864-1919), conosciuto in Venezuela come «il medico del popolo». Appoggiati dal loro grande sponsor, il cardinale Jorge Urosa, i deputati di opposizione sono però già scesi in campo, chiedendo udienza al papa perché «difenda il diritto al dissenso» in Venezuela.

«L’unico modo di mantenere la pace in Venezuela è che la rivoluzione si faccia governo – ha affermato Maduro – noi siamo gli unici che possiamo garantire stabilità e diritti sociali». E ha aggiunto: «Al presidente Napolitano ho parlato della nostra ben strana ’dittatura’, messa alla prova da 17 elezioni. Prima del 14 aprile, conoscendo i piani destabilizzanti dell’opposizione, ho promesso che se avessi perso per un solo voto avrei riconosciuto la sconfitta, come aveva fatto Chávez dopo il referendum del 2007, perso per un soffio, ma che se avessi vinto anche per un solo voto, ero deciso a governare. E ora intendo andare avanti».