Per questa ragione l’opposizione raggruppata nella Mesa de Unidad democratica (Mud) ha deciso di partecipare. Al momento solo tre governatori appartengono alle fila dell’opposizione. I sondaggi tirati in ballo dai mass media locali e internazionali ostili al presidente Maduro assicurano però che più del 70% dei venezuelani giudica in modo negativo l’operato del governo.Stante queste cifre, i leader della Mud aspirano a una vittoria che permetta loro, appunto, di aprire una nuova fase politica: dimostrare coi fatti che il governo Maduro e il suo partito, il Psuv, sono minoritari e «obbligare il presidente a un processo di negoziati seri per fissare le condizioni delle elezioni presidenziali del prossimo anno».

Per l’analista Colette Capriles, infatti, queste elezioni dovrebbero ribaltare i rapporti di forza in vista del «vero» scontro elettorale, quello per il controllo del palazzo di Miraflores .L’unica incognita per i leader della Mud è quanto potranno pesare i brogli e le trappole che, secondo loro, il Comitato nazionale elettorale «chavista» ha gia iniziato a organizzare. Ad esempio cambiando «209 seggi elettorali» dove in precedenza si era registrata una maggioranza dell’opposizione.

La realtà però è più complicata. Una parte degli scontenti, circa un 10%, non si fida nemmeno della Mud e dunque non sa se andrà a votare. Non solo, lo scorso settembre la parte radicale dell’opposizione, decisa a farla finita col governo Maduro con una prova di forza nelle strade, ha costituito un’alleanza «parallela» alla Mud – Soy Venezuela – che invece ha rifiutato di presentare candidati alle elezioni locali e ha scelto l’astensione. «Questo voto è una farsa» ha sostenuto María Cormin Machado, una dei leader dell’alleanza. « Bisogna uscire dal regime prima delle elezioni», ha continuato, perché parteciparvi comporta «riconoscere la legittimità dell’Assemblea nazionale costituente» –voluta da Maduro- che le ha convocate. Inoltre centrare le elezioni su problemi locali contribuisce a spostare l’obiettivo dalla questione politica della «sconfitta della dittatura» a problemi amministrativi dove la divisione degli schieramenti è meno netta.

Data questa situazione di divisione interna e di demoralizzazione di una parte della base dell’opposizione, anche gli analisti più vicini alla Mud considerano difficile prevedere l’esito di queste elezioni. Il presidente Maduro è ben deciso a sfruttare sia le divisioni dell’opposizione sia la natura regionale delle votazioni dove spesso i problemi di aministrazione locale prevalgono sullo scontro ideologico. Per questa ragione ha assunto un profilo insolitamente basso. Nei giorni più caldi della campagna elettorale, Maduro ha viaggiato tra Russia, Bielorussia e Turchia con l’obiettivo di trovare risorse per far fronte alle pesantissime sanzioni imposte al Venezuela dal presidente Trump. Dando la priorità a questo obiettivo, il presidente ha voluto dimostrare che è uno statista interessato al bene del paese e ai problemi della gente che deve affrontare una fortissima crisi economica e un’inflazione galoppante più che all’esito di un voto, seppur strategico.

La stessa linea di basso profilo ideologico e grande attenzione ai problemi locali è stata dimostrata dai maggiori candidati dello schieramento «chavista». Nessuno di loro ha chiesto la presenza di Maduro ai propri comizi e molti non hanno nemmeno sfoggiato la camicia rossa, ormai considerata una specie di uniforme dei quadri dello schieramento governativo e alcuni di loro come, Héctor Rodríguez ,il giovane candidato alla carica di governatore dello stato di Miranda, hanno quasi nascosto la sigla del Psuv (Partito socialista unito del Venezuela) nei propri manifesti. Altri candidati hanno dato vita a una campagna elettorale quantomeno bizzarra, lontana dai normali canoni, come Rafael Lacava in corsa per la carica di governatore di Carabobo, che ha concluso i suoi comizi a torso nudo e si è presentato a un’intervista cavalcando un asino. O la candidata alla rielezione nella regione di Monagas, Yelitza Santaella, che ha inscenato uno scontro con un’avversaria su un ring con tanto di guantoni da boxe.

Se questa strategia avrà successo, se Maduro manterrà la maggioranza dei governatori, il presidente potrà recuperare una legittimità internazionale che oggi gli viene negata da un vasto schieramento – dagli Usa alla maggioranza dell’Ue, più la maggioranza dei paesi dell’America latina – afferma il politologo venezuelano, Edgard Gutiérrez. Il quale aggiunge che «si imporrà anche una demoralizzazione e smobilitazione dell’opposizione».

Altri analisti concordano che anche una soglia di 13 governatori sarebbe un buon risultato per il presidente. Otterrebbe infatti due importanti risultati: dimostrerebbe che vi sono state vere elezioni e che queste hanno messo in luce che, nonostante feroci campagne e minacce internazionali e un’ostilità palese di gran parte dei mass media, Maduro gode dell’appoggio di una maggioranza, anche se ristretta, dei suoi concittadini. E confermerebbe la legittimità dell’Assemblea nazionale costituente: «Tutti coloro che andranno a votare domenica riconosceranno il potere dell’Anc, che ha convocato e organizza queste elezioni», ha affermato Maduro.