«A queste condizioni no». Così il presidente Maduro ha espresso la decisione di ritirare la propria delegazione dalla tornata di negoziati con i rappresentanti di Guaidó che si sarebbe dovuta svolgere ieri e oggi alle Barbados.

Una decisione che deve essergli costata parecchio, considerando la fiducia sempre riposta da Maduro nel dialogo come via per risolvere la crisi venezuelana. Tanto più in un momento in cui i difficili – o secondo altri punti di vista impossibili – negoziati con l’opposizione stavano producendo, pare, i primi frutti.

Ma l’appoggio entusiasta manifestato dall’autoproclamato presidente ad interim al brutale e illegale embargo imposto al paese da Trump deve averlo convinto, «a queste condizioni», dell’inutilità dello sforzo. E della necessità, come recita il comunicato del governo, di «rivedere i meccanismi di questo processo in maniera che la sua continuazione possa essere realmente efficace e conforme agli interessi del nostro popolo».

Perché di certo non possono che sorgere dubbi sulla credibilità di un’opposizione che, proprio mentre è seduta al tavolo dei negoziati in cerca di un accordo con la controparte, sostiene apertamente le misure adottate da una potenza straniera all’esplicito scopo di rovesciarla, a costo peraltro di spingere ancor più nel baratro una popolazione già duramente provata.

Una popolazione che, a giudizio di Guaidó, l’ordine esecutivo firmato da Trump avrebbe invece l’obiettivo di «proteggere» attraverso «eccezioni umanitarie per alimenti e farmaci» e la difesa del settore privato. Ma è chiaro che non sarà così.

Non a caso, come ha reso noto il 7 agosto la vicepresidente Delcy Rodríguez, una nave nel canale di Panama diretta in Venezuela con 25mila tonnellate di soia per la produzione di alimenti ha ricevuto dalla sua compagnia assicurativa l’ordine di cambiare immediatamente destinazione.

E, riguardo ai privati, le istituzioni finanziarie, come evidenzia l’economista vicino all’opposizione Francisco Rodríguez, «staranno ben attente» a non interagire neppure con tale settore, nel timore che possa risultare in qualche modo legato al governo bolivariano.

Incurante di tutto ciò, Guaidó esulta e ringrazia, celebrando la «grande strategia» mirata a ottenere la «fine dell’usurpazione» con l’ausilio «di parte della comunità internazionale». E offrendo la sua personale visione dei negoziati: «Non crediamo che il dialogo possa funzionare di per sé, ma solo come parte de una strategia» che preveda anche «sanzioni internazionali», cioè il micidiale embargo Usa, «pressione di piazza» (in realtà inesistente da mesi) e «il lavoro diplomatico dell’Assemblea nazionale», naturalmente sotto dettatura di Washington.

Un dettato che non lascia dubbi: «sarebbe inconcepibile – ha dichiarato il segretario di Stato Mike Pompeo a proposito del processo negoziale alle Barbados – tenere elezioni che realmente rappresentino il popolo venezuelano se Maduro continua a restare nel paese».