Il conto alla rovescia è finito: oggi, per il popolo venezuelano, è il giorno delle elezioni più commentate, discusse e avversate (dagli Stati uniti, dai loro vassalli del Gruppo di Lima, dall’Unione Europea) nella storia recente dell’America Latina. Ma anche, di contro, energicamente difese dai movimenti popolari di tutto il continente e non solo e dai governi amici dell’Alba, della Russia e della Cina.

Data quasi per scontata la vittoria di Maduro – che dovrebbe superare con ampio margine il suo principale avversario, l’ex governatore dello Stato di Lara Henri Falcón – l’attenzione è puntata sul livello di partecipazione, che, a fronte della dichiarata astensione dei principali partiti di destra, risulterà decisivo per misurare la legittimità del processo elettorale.

Stando ai sondaggi, però, il richiamo di quella «bella rivoluzione» che aveva portato il Venezuela al quinto posto nella classifica dei Paesi considerati più felici dai propri abitanti appare ancora forte, malgrado le denunce esistenti sull’abbandono del percorso rivoluzionario avviato da Chávez e rimasto incompiuto. E malgrado, soprattutto, la quotidiana fatica della sopravvivenza sopportata dalla popolazione, tra scarsità di beni di prima necessità, iperinflazione e un criminale embargo finanziario.

Sotto accusa, in particolare, è l’incapacità del governo di offrire spiegazioni convincenti riguardo alla crisi economica e alle vie per superarla, al di là della grande scommessa sul Petro, la criptovaluta lanciata a febbraio, inefficace tuttavia a contrastare il collasso dei servizi pubblici, il contrabbando, la carenza di investimenti produttivi.

Ma il principale aiuto a Maduro viene proprio dall’opposizione, mai così debole e screditata. Da un’opposizione, cioè, che, dopo aver rivendicato per mesi la convocazione di elezioni anticipate, ha poi deciso – e neppure in maniera unanime – di boicottarle. Con ciò affidando tutte le sue chance di riconquista del potere alla speranza di un risolutivo intervento esterno, meglio se nascosto dietro l’apertura di un canale umanitario, o all’attesa di un collasso interno per effetto di sempre più dure sanzioni internazionali.