È iniziato venerdì con la firma di un memorandum di intesa il nuovo tentativo di dialogo tra governo Maduro e opposizione venezuelana, a Città del Messico con la mediazione messicana e norvegese.

Una firma che per il capo della delegazione governativa Jorge Rodríguez, presidente dell’Assemblea nazionale, «significa la speranza di costruire una convivenza pacifica al di là delle differenze» che, ha spiegato in conferenza stampa alla presenza del ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard e del capo dell’équipe di facilitazione norvegese Dag Nylander, si possono «dirimere tra venezuelani, senza ingerenze esterne».

Parole più concilianti rispetto a dei giorni scorsi del presidente Maduro che, ponendo come condizioni per il dialogo la revoca delle sanzioni, il riconoscimento delle istituzioni legittime e la rinuncia alla violenza, non aveva speso per la controparte parole propriamente amichevoli: «Dialogheremo con l’opposizione di estrema destra pro-yankee, con gli schiavi degli Stati uniti. Bisogna dialogare anche con il diavolo».

A guidare la delegazione dell’opposizione – composta tra gli altri dal rappresentante di Guaidó negli Usa Carlos Vecchio e da due dei principali collaboratori di Henrique Capriles, Tomás Guanipa e Stalin González – è l’ex sindaco di Caracas, Gerardo Blyde Pérez, che ha espresso «l’impegno irrinunciabile ad assicurare al paese un patto democratico di grande portata, un accordo integrale che benefici l’intera popolazione».

I negoziati, è stato concordato, si svolgeranno attorno a sei punti: diritti politici e garanzie elettorali per tutti, cronogramma elettorale, revoca delle sanzioni, rispetto dello stato di diritto e protezione dell’economia nazionale.

Ma che questa sia la volta buona per raggiungere un accordo dipenderà anche dall’atteggiamento degli Usa che, per bocca del portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price, hanno intanto auspicato una partecipazione «sincera» di Maduro al dialogo.

Nel 2018, il negoziato condotto nella Repubblica Dominicana si era concluso con un nulla di fatto: la destra, tra lo sconcerto dei mediatori, aveva mandato all’aria all’ultimo minuto l’accordo raggiunto con il governo dopo una tempestiva telefonata proveniente dalla Colombia in contemporanea con la visita nel paese dell’allora segretario di Stato Usa Rex Tillerson.

E nel 2019 durante i negoziati portati avanti, tra un tentativo di golpe e l’altro, a Oslo e alle Barbados, Maduro aveva ritirato la propria delegazione di fronte all’appoggio entusiasta manifestato da Guaidó al brutale embargo imposto al Venezuela da Trump.

Ma, al di là dei precedenti poco rassicuranti, nel paese le aspettative sono piuttosto basse. Il popolo venezuelano ha altro a cui pensare, di fronte a un’inflazione ancora fuori controllo (un tasso del 264,8% nei primi cinque mesi del 2021) e a una contrazione dell’economia che si aggirerà quest’anno intorno al 10%.

Tanto l’opposizione quanto il governo sono poi alle prese con una preoccupante crisi di consenso. Va sicuramente peggio alla prima, divisa e indebolita dalla lunga serie di fallimenti e scandali accumulata nel tempo, con un Guaidó al 4% dei consensi che non può più neppure contare sul riconoscimento internazionale di un tempo.

Ma anche il governo deve fare i conti con la crescente disaffezione per il madurismo, spiegabile con la stanchezza generata dall’interminabile crisi economica, ma anche – denunciano i settori di sinistra – con un’innegabile deriva in senso capitalista.