«Voglio garantire i diritti da qui a cinquant’anni, affinché al popolo non manchi più nulla». Così, il 1° maggio, dopo aver disposto un aumento del 60% di salari e pensioni e l’incremento dei sussidi, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha illustrato la proposta di una nuova Assemblea costituente per riformare lo Stato. Una svolta storica, annunciata durante le grandi manifestazioni dei lavoratori, di segno opposto a quelle dell’opposizione e dei sindacati «gialli», consistenti e aggressive nei bastioni delle destre come Maracaibo.

IL FISCAL DRAG dei diritti. Lo si potrebbe definire così, capovolgendo il segno del pareggio in bilancio. Un tentativo di blindare conquiste sociali e «innovazioni» sperimentate in 18 anni di chavismo, sottraendole ai cambi di governo che, quando tornano le destre, riportano al grado zero le tutele dei settori popolari (il Brasile di Temer e l’Argentina di Macri), oppure le riducono a mero enunciato (l’Italia è una repubblica basata sul lavoro…). Come già avvenne dopo l’arrivo al governo di Chavez, nel 1999, adesso si aprono le consultazioni di tutti i settori e di tutte le categorie che compongono la società venezuelana. Dal voto popolare, dovranno emergere 500 costituenti, circa 250 scelti dalla «base della classe operaia», gli altri anche dalle organizzazioni di categoria dei commercianti o degli imprenditori.

A DIFFERENZA del ’99, in Venezuela ora però non si riparte da zero («Giuro su questa moribonda Costituzione», aveva detto Chavez, ribadendo al momento dell’assunzione d’incarico, la principale promessa di campagna elettorale). La Carta magna bolivariana, che ha innovato la Costituzione del 1961, ora esiste: declinata nei due generi e in un ampio ventaglio di diritti, arricchita negli anni di molti elementi che ne hanno accentuato il carattere mutualista e la «democrazia partecipativa e protagonista». Nell’articolo 348 consente al presidente di attivare per decreto il processo costituente, facendo appello a un potere «originario» che viene prima di tutti, quello del popolo. Come primo passo è stata istituita una Commissione preposta ad attivare l’Assemblea costituente. La presiede Elias Jaua. Vicepresidente, Julian Isaias Rodriguez, ex Procuratore generale, uno dei padri costituenti e attuale ambasciatore del Venezuela in Italia. Giureconsulte, la deputata Cilia Flores e la ministra degli Esteri, Delcy Rodriguez. Costituenti, 8 figure autorevoli del diritto, della cultura e della politica, esperte in diversi settori chiave della società: dalle carceri, ai popoli indigeni, alla comunicazione e all’antropologia.

SETTE PUNTI – che verranno consegnati al Consiglio nazionale elettorale (Cne) – definiscono gli intenti. Il primo è quello di arrivare a «una costituente per la pace, e al miglioramento dei percorsi contemplati nella costituzione del ’99». Il secondo è «costruire un nuovo sistema economico post-petrolifero: preparare il quadro di un nuovo modello economico». Il terzo ambisce a costruire uno «stato di benessere sociale collettivo» e a dare «rango costituzionale alle missioni e grandi missioni» volute da Chavez per drenare direttamente risorse verso i settori meno favoriti. Il quarto riguarda il funzionamento giuridico e «la protezione del popolo», per cui si dichiara «guerra all’impunità» e ci si propone di «continuare a migliorare il sistema penitenziario» e di lottare «contro il terrorismo e il narcotraffico». Il quinto punto prevede di «dare impulso alle nuove forme di democrazia partecipativa e protagonista nel campo sociale e politico, e inserire nella Costituzione i consigli comunali e le comuni». A seguire, «la difesa della sovranità nazionale e un’ulteriore spinta verso un mondo multicentrico e pluripolare». E un capitolo che riguarda «identità, diversità culturale, e una nuova spiritualità».

LA SVOLTA era nell’aria. Se ne discuteva in ambienti ristretti. Ne era al corrente anche il papa Bergoglio, come si evince da un’intervista rilasciata durante il viaggio in Egitto al giornalista di Antenna 3, Antonio Pelayo, oscurata dai media. Il papa «bolivariano» aveva lasciato intendere che, nella complessa situazione venezuelana, qualcosa si stava muovendo. Soprattutto, però, aveva attribuito alle differenze interne all’opposizione il fallimento del dialogo promosso dalla Unasur e guidato dall’ex presidente spagnolo Zapatero, che Maduro vuole rilanciare. E proprio contro Zapatero, contestato violentemente in Spagna dalle destre venezuelane, si è scagliato l’ex candidato presidenziale Henrique Capriles, leader di Primero Justicia, intervistato da La Stampa.

STRALI anche contro Bergoglio, dissonante dalle gerarchie vaticane, come si è visto nella dichiarazione domenicale a San Pietro (quella, sì, molto gradita e diffusa dalle destre e dai paesi neoliberisti dell’America latina). Che l’opposizione sia divisa e più propensa alla violenza che alla conciliazione nazionale, è emerso da una fonte ben informata – Diana D’Agostino, moglie di Ramos Allup, leader di Accion Democratica – in un discorso con il padre imprenditore, probabilmente diffuso ad arte. Per le destre, la proposta di Maduro è un autogolpe, anche se non interferisce nell’agenda elettorale delle regionali e municipali. Un azzardo che, nelle attuali condizioni di scontro e con l’aumento dei delusi dalla politica, potrebbe anche bocciare il chavismo? Anche, ma sembra l’unica strada sensata per evitare la guerra civile.