L’ex golpista Leopoldo Lopez contro l’indipendentista portoricano Oscar Lopez Rivera. È la provocatoria proposta che il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha pubblicamente rivolto agli Stati uniti. Un Lopez per un altro, insomma, uno di segno opposto all’altro. Leopoldo è il leader della formazione Voluntad Popular, in carcere con l’accusa di aver diretto le proteste violente contro il governo, scoppiate nel febbraio 2014 e continuate per alcuni mesi (43 morti e oltre 830 feriti). È in attesa di processo dopo alcuni rinvii e il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, lo ha messo al primo posto nell’elenco dei detenuti che vorrebbe fossero liberati immediatamente.

Lopez Rivera è invece un ex militante delle Forze armate di liberazione nazionale di Porto Rico (Faln), un’organizzazione clandestina che ha lottato per ottenere l’indipendenza dell’isola dagli Stati uniti. A maggio di quest’anno compirà 34 anni da prigioniero nelle galere Usa. È l’unico dei 16 militanti del suo gruppo ancora detenuto. Venne arrestato nel 1981 vicino a Chicago, ed era clandestino dal 1976, accusato di diversi attentati: «Usavamo la propaganda armata per far arrivare il nostro messaggio», ha detto l’indipendentista, che ha rifiutato di chiedere le misure alternative al carcere che avrebbero potuto farlo uscire già nel 2009. In questi anni, Lopez Rivera è diventato un simbolo di libertà. Per lui si sono espressi anche i cinque ex agenti cubani, recentemente liberati dagli Usa in cambio della spia dell’Usaid, Alan Gross.
«Il termine di prigioniero politico mi sembra più appropriato per Lopez Rivera che non per Leopoldo Lopez», ha detto Maduro. Obama ha recentemente ratificato le sanzioni votate dal Congresso Usa contro «i funzionari venezuelani che hanno violato i diritti umani dei manifestanti di opposizione durante le proteste». Una lista non ancora resa pubblica, ma che prende di mira alte cariche governative come l’ex ministro degli Interni Miguel Rodriguez Torres, il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, la Procuratrice generale, Luisa Ortega Diaz e diversi governatori.

Maduro ha brevemente discusso delle sanzioni con il vicepresidente Usa, Joe Biden, in Brasile, durante l’assunzione d’incarico della presidente Dilma Rousseff, la quale ha espresso solidarietà al suo omologo venezuelano: «Diciamo da sempre che vogliamo ripristinare buoni rapporti tra noi e gli Usa, ma in condizioni di parità», ha detto Maduro esprimento apprezzamento per la liberazione dei cinque agenti cubani, ma denunciando anche «la doppia morale degli Usa». Sia i cinque agenti che i governi socialisti dell’America latina e gli organismi continentali come la Unasur hanno respinto le sanzioni al Venezuela e anche di questo si discuterà nel vertice della Celac, che si terrà in questo mese. I famigliari delle vittime delle guarimbas (le tecniche di guerriglia dell’opposizione che hanno mietuto molte vite durante le proteste) hanno presentato un fascicolo sia all’Onu che al Parlamento europeo, dov’è però emersa soprattutto la denuncia dell’opposizione venezuelana.

Intanto, Maduro è partito per un importante giro di visite – principalmente a Russia e Cina – per rinsaldare nuovi accordi a fronte della caduta del prezzo del petrolio. «Dobbiamo approfondire la transizione economica al socialismo», ha detto prima di partire facendo appello «prima di tutto alla classe operaia».