Ieri non era stata convocata alcuna manifestazione ufficiale, a parte l’ormai abituale casserolada informale alle 10 della notte dai balconi. Ma non sono mancati i colpi di scena.

Il più allarmante è stato la notizia che, per ordine della Procura del Tribunale di giustizia catalano (che dipende indirettamente dal governo), tutti gli interventi delle forze dell’ordine relativi al primo d’ottobre saranno coordinate da un responsabile del ministero degli interni, il colonnello della Guardia Civil Diego Pérez de los Cobos.

Tutte le forze dell’ordine: Guardia Civil, Policia nacional e anche il Mossos, la polizia catalana che in teoria è autonoma e dipende dal governo catalano. La decisione è stata comunicata in mattinata, alla presenza dello stesso Pérez de los Cobos e del procuratore generale catalano, ai responsabili dei tre corpi di polizia. Anche se formalmente si tratta dell’applicazione di una norma del 1986 che prevede che le polizie regionali possano essere coadiuvate dalle polizie nazionali «nel caso non dispongano di mezzi sufficienti» per l’esercizio delle loro funzioni, e che in questo caso sarebbero coordinate dalle forze di polizia nazionali, la decisione viene letta dal governo catalano come uno scippo di poteri.

IL MINISTERO DEGLI INTERNI lo ha smentito, dicendo che le polizie dipendono come sempre dai giudici inquirenti, e limita l’effetto della decisione giudiziaria alla «continuazione dei propositi delittuosi» degli organizzatori del referendum. Ma il ministro degli interni catalano Joaquim Forn ha subito dichiarato che né lui né i Mossos accetteranno la decisione della Procura. Tecnicamente, però, la disobbedienza avverrà solo lunedì se l’ormai famoso (grazie agli attentati d’agosto) capo dei Mossos, Josep Lluís Trapero, non si presenterà alla riunione di coordinamento presieduta da Pérez de Cobos.

L’ARGOMENTO SOLLEVATO da Forn è di tipo giuridico, e infatti ha annunciato che impugneranno l’atto: la procura, dice, invade competenze non sue secondo lo statuto catalano e una legge spagnola. Curioso: non è la prima volta che, in questi giorni, proprio chi ha approvato senza nessuna competenza per farlo una legge per istituire un referendum e una legge di transitorietà giuridica con valore costituzionale, e che dice di non voler riconoscere l’autorità del Tribunale costituzionale che le ha annullate, si appella proprio al Tribunale costituzionale, e alle altre istituzioni inevitabilmente spagnole per difendere i propri diritti.

UNA DELLE CONTRADDIZIONI di questo processo, in cui chi fa vanto della disobbedienza della legge – una posizione legittima – poi però non vuole farsi carico delle conseguenze giuridiche (soprattutto se colpiscono il portafogli), e chi parla di democrazia, di stato di diritto e di difesa dei cittadini catalani, finisce per impedire la libertà di stampa e associazione, schiaccia il dissenso politico e mette a rischio gli stipendi di migliaia di lavoratori col blocco dei conti in banca di università ed enti di ricerca.

LA REPRESSIONE del governo spagnolo tocca anche internet. A parte le denunce degli hacker che hanno aiutato a duplicare i siti sul referendum sichiusi dalla polizia, ieri El País in prima pagina riportava con grande enfasi un articolo che accusava «la macchina di ingerenza russa» di manipolare il processo catalano. Poi in realtà però non sosteneva in nessun punto del lungo articolo questa grave accusa, riportando solo le notissime posizioni pubbliche di Assange e Snowden rispetto al processo catalano, accusandoli genericamente di essere filo-russi e di avere molti follower che sono bot, cioè robot delle reti sociali.

MA LA NOTIZIA più inquietante, che viene anche riportata in un lungo articolo del New York Times, è la denuncia della Internet Society. Secondo quest’ong americana, «sono state riportate misure che restringono il libero accesso alla rete in Catalogna». Secondo la nota, alle principali compagnie telefoniche è stato chiesto «di monitorare e bloccare» l’accesso a siti politici ed è stata perquisita la sede dei registri dei domini «.cat» a Barcellona. «Riteniamo che azioni che impediscono la capacità di qualsiasi comunità locale di utilizzare internet liberamente sono inaccettabili”, dice la Internet Society.

«La decisione giudiziaria contro il .cat ha un effetto sproporzionato che diminuisce la libera espressione e ha un ingiusto impatto sulla possibilità che le persone che parlano catalano possano creare, condividere e accedere a contenuti online».