Il borbottio delle valigie trascinate sull’asfalto è il basso continuo di qualsiasi passeggiata dalla centralissima Puerta del Sol al cuore di Plaza Mayor: si impone sul vociare della gente, sulla babele di lingue, sulle note dei mariachi, sulla litania dei mendicanti, e resta nell’orecchio come il ronzio di una mosca. C’è, sui brulicanti marciapiedi del centro, un andirivieni incessante di corpi ciondolanti, zavorrati da bagagli d’ogni taglia e foggia: sembrano dei moderni Sisifo in pantaloni corti e sandali, inghiottiti o rigurgitati di tanto in tanto dal portone di uno dei 9.000 alloggi Airbnb della zona centro (ce ne sono circa 12.000 in tutta la capitale, 18.000 a Barcellona e 135.000 in tutta Spagna).

LA CARTOLINA arriva da Madrid, ma l’immagine è la stessa, o persino più grottesca, a Barcellona, Siviglia o Palma di Maiorca. Nei pochi chilometri quadrati battuti dalle orde turistiche nei principali centri della penisola, la Spagna diventa una caricatura, la città un parco giochi concepito per il turista-cliente, che esige paella, sangría e flamenco e la ottiene a prezzo di saldo, perché l’offerta, che risponde a una domanda vorace e costante, è dilagante in un paese con una base economica tradizionalmente ancorata ai due pilastri del turismo e del mattone; settori che sono sempre andati mano nella mano, ma che i voli low cost (che rappresentano 53,7% della quota di mercato), l’impennata del turismo urbano e l’esplosione di piattaforme come Airbnb ha definitivamente legato a doppio filo. Basti dire che una ogni 4 case in affitto nella zona della Latina (uno dei quartieri della movida madrilena), e una ogni 10 in tutta la zona centrale è destinata all’affitto turistico, che a Madrid rende in media 92 euro al giorno (a Barcellona qualcosa in più): a spanne, il triplo di un affitto normale. Molti di questi appartamenti sono peraltro proprietà di fondi d’investimento, spesso stranieri, che, fiutando guadagni rapidi e a rischio zero, si sono riversarti sul mercato immobiliare sfruttando il vuoto legale che protegge questo tipo di speculazioni.

L’AMMINISTRAZIONE della sindaca Manuela Carmena (Ahora Madrid) sta cercando di metterci una pezza restringendo la legislazione sugli appartamenti turistici, ma il danno – sociale ed economico – è fatto ed è gravissimo: nel centro gli affitti sono aumentati del 38% dal 2014, superando i prezzi pre-crisi; a Barcellona del 40%. La conseguenza immediata è lo svuotamento dei centri, il confino nella desolazione della periferia per migliaia di lavoratori di classe media, i cui stipendi, congelati da anni, sono in certi casi pari o inferiori al canone d’affitto. Tant’è che gli sfratti, che ai tempi della crisi rappresentavano un problema legato ai mutui e all’acquisto, sono diventati lo spauracchio dell’affittuario medio. A queste cifre corrisponde un penoso processo di trasfigurazione delle città: le piccole attività chiudono, fagocitate dalle grandi catene che hanno metaforicamente – e in qualche caso fuori di metafora – raso al suolo i centri storici per ricostruirli ad uso e, soprattutto, consumo del turista. Chi resiste si trova a dover affrontare gravi problemi di convivenza e, alla fine, chi non se ne va per necessità, se ne va per disperazione, perché l’afflusso di visitanti (10,2 milioni a Madrid nel 2018, 13 a Barcellona) è ovviamente incompatibile con la vita quotidiana dei residenti.

NEL MADRILENO quartiere di Sol, tanto per rendere l’idea, il rapporto è di 2 turisti per ogni residente. Tutto questo si deve, anche e soprattutto, alla politica dell’uovo varata ai tempi del franchismo e mai corretta da nessun governo. D’altra parte gli interessi in gioco sono enormi e il volume d’affari che muove il turismo lo rende praticamente intoccabile: quasi il 15% del Pil è generato da attività connesse al settore, che dà lavoro a 2,8 milioni di persone, il 14,7% della popolazione attiva. Nel 2018, secondo dati del ministero dell’Industria, gli 82,6 milioni di turisti che hanno visitato la Spagna (che ha una popolazione residente di 47 milioni di abitanti), hanno speso un totale di 90 miliardi di euro; che diventano il doppio se si considera anche la ricchezza generata anche dall’indotto.

NON SORPRENDE, dunque, lo slancio con cui Siviglia (un’altra città asfissiata dalla pressione turistica) si è offerta come sede del vertice mondiale del turismo che si è tenuto lo scorso 3 d’aprile alla presenza di Barack Obama, venuto dall’America a vantare le bontà dell’apertura turistica. Saprà Obama che, nonostante la crescita esponenziale delle visite, in Andalusia la precarietà – specialmente nei settori legati al turismo – continua a mordere e la disoccupazione, al 21%, a dilagare? Sicuramente lo sanno i 1.650 rappresentanti di aziende, società multinazionali e i 140 fondi di investimento che hanno partecipato al summit, che prosperano proprio sulle spalle della manodopera precaria a buon mercato. Secondo l’Associazione internazionale dell’industria turistica, due miliardi di euro pioveranno sul Siviglia sotto forma di investimenti a seguito di questo vertice. Tutti li aspettano come manna dal cielo, ma vale la pena porsi un paio di domande: sono sufficienti questi soldi e tutti quelli generati dal settore a compensare l’impatto ambientale e sociale, i costi a lungo termine, materiali e non, di un turismo dissennato e vampiresco? E, soprattutto, bastano per espropriare una città ai suoi abitanti per consegnarla nelle mani delle grandi multinazionali e dei fondi d’investimento?