In attesa degli sviluppi del dibattito nazionale, la prima gatta da pelare per la politica spagnola sono le scelte dei sindaci e dei presidenti delle comunità autonome. La Spagna è entrata in una fase politica nuova, post bipartitista, dove non è più così facile dire chi ha «vinto». Nel gergo locale, «vincere» le elezioni vuol dire arrivare primi: quando c’erano solo Psoe e Pp, una debole Izquierda Unida e qualche partito radicato solo localmente, il verbo approssimava bene la realtà. Ma oggi, con molti più attori in gioco, e alleanze possibili, il significato di «vincere» diventa più sfumato.

Fino a poco tempo fa, molti, e soprattutto il Pp, consideravano anatema che non governasse un comune, una regione o un governo chi non fosse arrivato primo. A livello nazionale, Pedro Sánchez col suo governo di soli 85 deputati per la prima volta ruppe questa prassi non scritta. Con poche eccezioni (per esempio l’Andalusia) non era molto comune che un’alleanza di perdenti (come piaceva chiamarla al Pp) scalzasse il primo partito. Ma oggi i risultati delle elezioni amministrative trasformeranno quella che era un’eccezione in una regola più diffusa.

I casi più emblematici sono proprio Madrid e Barcellona. La notte stessa delle elezioni, Manuela Carmena, pur guidando il primo partito, aveva ammesso che avrebbe perso la poltrona di sindaca perché i tre partiti di destra avevano ottenuto più consiglieri. Ada Colau da parte sua aveva riconosciuto (per una manciata di voti) la vittoria del suo avversario di Esquerra Republicana Ernest Pasqual Maragall: ma sia Esquerra che Barcelona en comú avevano solo 10 consiglieri (su 41). Superata l’emozione elettorale però, a bocce ferme, il panorama è cambiato.

La legge (ormai decisamente sfasata rispetto a una realtà sempre più multiforme) prevede che il capolista del partito più votato diventi automaticamente sindaco, a meno che non ci sia un accordo che ottenga più voti in consiglio. A Madrid questo ruolo toccherebbe a Carmena. Lei stessa lo ha ricordato, quando ha capito che Pp e Ciudadanos non sembrano più tanto convinti di regalare a Vox il protagonismo che ora esige. Non solo perché ha ottenuto la metà dei voti di un mese prima. Ma soprattutto perché Pp e Ciudadanos hanno capito che non paga né elettoralmente, né (nel caso del partito di Albert Rivera, che aspira a entrare nell’Alde, il gruppo dei liberali europei) internazionalmente. Intanto a Barcellona tutti quelli che non voglio un sindaco indipendentista si stanno facendo sentire (solo il 40% dei voti in città è andato a liste indipendentiste).

Sono due personalità profondamente politiche che hanno riaperto i giochi. Da un lato, l’ex premier francese Manuel Valls, che a Barcellona ha guidato una lista che ha ottenuto sei seggi, tre dei quali di Ciudadanos, ma gli altri tre sono indipendenti, che ha detto: regaliamo a Colau e ai socialisti i nostri tre voti pur di non fare sindaco un indipendentista. In totale fa 21, Maragall sarebbe fuori. Colau però insiste che un patto di sinistra basato su politiche sociali e verdi per la città è possibile, con Esquerra republicana (guidata da Maragall) e socialisti, i quali però non ne vogliono sapere di parlarsi. Sic stantibus rebus, ancora una volta, Colau è fra l’incudine e il martello: se rinuncia ai voti di Valls (come vorrebbe) gli uni la accuserebbero di aver regalato il comune agli indipendentisti; se invece accetta i voti di Valls, le diranno di aver tradito le sue promesse e di essersi alleata con la destra spagnolista.

Nella capitale invece la proposta shock arriva da Íñigo Errejón, il gran traditore di Pablo Iglesias. Il suo Más Madrid (partito di cui è a capo con Carmena) è disposto ad allearsi con socialisti e Ciudadanos pur di non permettere a Vox di entrare al comune: sindaca diventerebbe così l’esponente di Ciudadanos Begoña Villacís (con i voti dei socialisti e di Más Madrid di Carmena), mentre presidente regionale potrebbe essere il socialista Gabilondo, con gli stessi voti. «La politica non è scegliere quello che a uno piace di più, ma scegliere fra le opzioni possibili», ha sentenziato Errejón.

Il tutto mentre a livello nazionale Sánchez fa sapere a Podemos che deve abbassare la cresta con la richiesta di entrare nel governo dopo i poveri risultati domenica. I sondaggi danno un’inequivoca preferenza per una coalizione di governo fra i due, sia in generale, che fra gli elettori socialisti, che fra quelli di Podemos. Si apre un mese politicamente emozionante.