Due film che iniziano con le immagini in primo piano di un parto si sono aggiudicati i premi maggiori al 20° Festival del cinema sloveno che si è svolto nei giorni scorsi a Portorose. Più che una coincidenza, il segno di una riflessione sulla paternità e sulla maternità che i registi pongono all’attenzione, con tutte le implicazioni anche simboliche, politiche e culturali. Un festival di buon livello, a sancire una delle migliori annate della cinematografia slovena dell’ultimo periodo, con parecchie proposte valide anche tra i cortometraggi e le animazioni.

 

 

Il premio  Vesna per il miglior film in assoluto è andato al documentario The Family di Rok Bicek, il regista di Class Enemy, già vincitore ad agosto della Semaine de la critique a Locarno. Come miglior film di finzione, nonché miglior sceneggiatura, migliore attrice protagonista (Maruša Majer, Shooting Star all’ultima Berlinale) è stato scelto Ivan di Janez Burger.

 

 

La famiglia è stato un tema ricorrente, presente in quasi tutti i film più importanti e in diversi titoli, compreso «famigliola» traduzione letterale di The Basics Of Killing di Jan Cvitkovic, che ha ottenuto diversi premi tecnici, come la fotografia di Marko Brdar (Sole alto) o le musiche di Damir Avdic.È quasi un Boyhood europeo, il lavoro di Bicek, che ha seguito per un decennio Matej, ragazzino cresciuto con genitori e fratello disabili, che impara un modo di rapportarsi al mondo e alle emozioni tutto suo. Diventato padre a vent’anni, si separa quasi subito da Barbara con cui iniziando una serie di battaglie legali sull’affidamento della figlia, la piccola Nia. Intanto la sua vita di snoda tra servizi sociali, lavori al computer, una nuova relazione, le corse in auto, una giovinezza di contraddizioni e di idee estreme come la sterilizzazione. Il regista, neanche dieci anni più del suo protagonista, lo filma con vicinanza distaccata e attraverso di lui spiazza lo spettatore.

 

 

Anche Burger prende una giovanissima, Mara, che da alla luce un figlio tra mille dubbi, per primo il nome. Gli assegnerà Ivan, anziché Taras, desiderato dal padre Rok, un uomo molto più grande di lei, appena uscito di prigione per corruzione e coinvolto in traffici illeciti. Quest’ultimo passerà dal non riconoscerlo al tentativo di abbandonare il figlio, mentre la giovane, picchiata più volte, si interroga sulle violenze che subisce e la scelta se occuparsi di Ivan o lasciarlo a una famiglia affidataria.

 

 

È un dramma solido Družinica di Cvitkovic, il più conosciuto dei registi sloveni, autore di Pane e latte e Di tomba in tomba. Qui i genitori perdono il lavoro, la moglie per non aver ceduto alle avances del suo capo, e i figli reagiscono come riescono. Per una volta la famiglia resta unita mentre tutto va a rotoli, e l’unico impiego che Marko trova è riscuotere crediti da padri in difficoltà proprio come lui.

 

 

Il premio per la miglior regia è andato a The Miner di Hanna Slak, opera claustrofobica che funziona come un thriller con punte quasi horror. Mentre si celebra il 14° anniversario del massacro di Srebrenica del luglio 1995, Alija, un minatore bosniaco da molti anni trasferito in Slovenia, è incaricato di ispezionare una parte della miniera chiusa da decenni. Spaventato di perdere il posto come altri compagni di lavoro, accetta il compito ma trova un ammasso di cadaveri probabilmente occultati durante o alla fine della guerra mondiale. Un fatto rimosso da tutti in paese che la regista, partendo da una storia vera, associa forseun po’ troppo seccamente a quello di Srebrenica.

 

 

Playing Men di Matjaž Ivanišin – vincitore tra i lungometraggi – è invece quasi un viaggio filosofico nel mondo del gioco, da un festival di wrestling turco alla morra, dal maiorchino (una tradizione di Novara di Sicilia che consiste nel far rotolare forme di formaggio per le strade irte del paese) alla petanque, dal sadomasochismo fino al tennis. Il culmine è l’incredibile festa che Spalato ospitò nel 2001 per accogliere, quasi fosse un re, Goran Ivaniševic reduce dallo storico successo di Wimbledon.