«Raggiunto l’accordo sulla riduzione dei comparti, ora il governo non ha più alibi: si rinnovino i contratti pubblici e lo si faccia subito, mettendo le risorse necessarie. Il sindacato ha fatto la sua parte, adesso tocca al governo fare la su». Così Cgil, Fp Cgil e Flc Cgil ieri mattina hanno commentano l’accordo raggiunto la notte prima all’Aran, dopo ben 17 ore di trattativa, sulla riduzione da 12 a 4 dei comparti pubblici. I quattro comparti saranno: sanità, conoscenza (riunirà quindi scuola, università, ricerca e afam), funzioni locali e funzioni centrali (accorperà ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici).
I lavoratori del pubblico impiego non vedono un rinnovo contrattuale ormai dal 2010, anno in cui si sarebbe dovuto concordare con il governo l’adeguamento dei loro stipendi dopo la naturale scadenza: ma da Berlusconi in poi si è sempre scelto di congelare i salari causa crisi e riduzione del deficit (decisione sempre confermata successivamente, in tutte le leggi finanziarie e di stabilità, da Monti, Letta e Renzi).Secondo i calcoli dei sindacati i dipendenti pubblici avrebbero già perso almeno 7 mila euro.
«Stanotte chiuso accordo su riduzione a 4 comparti #PA. Sistema contrattuale più semplice e innovativo per lavoratori pubblici e Paese», ha twittato dal canto suo la ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, non facendo però nessun cenno alla possibilità che il rinnovo possa essere firmato a breve. L’ultima legge di stabilità, quella per il 2016, ha stanziato solo 300 milioni per i contratti, cifra ritenuta inadeguata, se non addirittura ridicola, dai sindacati, che calcolano aumenti medi di 8 euro lordi mensili. Neanche una pizza.
Nel frattempo va ricordato che nel giugno dello scorso anno è intervenuta una sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il blocco della contrattazione, ma non per tutti gli anni passati: insomma, non sarebbe dovuto nessun risarcimento, ma va sicuramente firmato un accordo per nuovi adeguamenti.
Restano aperti almeno due elementi critici per la Cgil. «Il primo, l’autonomia della Presidenza del consiglio (che non è stata accorpata agli altri settori nelle funzioni centrali, ndr). Per questa via, infatti, il governo applica la legge Brunetta per difendere una un bacino ristretto di lavoratori. Secondo punto, i dirigenti tecnici professionali amministrativi della sanità. Non siamo, infatti, d’accordo che si riunifichi questa parte della dirigenza della sanità con quella delle autonomie locali. Seguendo questa linea si rompe l’unicità dei contratti e si afferma una competenza indistinta della dirigenza, a prescindere del comparto di appartenenza. Norma che abbiamo contestato nella riforma della dirigenza della delega Madia». È comunque un «accordo innovativo» per la Cgil, che ora chiede risorse non solo per i contratti nazionali, ma anche per «qualificare professionalità e riconoscere adeguamenti».
«Ora che è stato rimosso l’ultimo paletto ostativo al rinnovo dei contratti nazionali chiediamo l’immediata apertura delle trattative – commenta Nicola Turco dello Uilpa – È un adempimento non più assolutamente procrastinabile, considerato che i contratti dei dipendenti pubblici sono bloccati da ben 2.286 giorni!».
La Uil-Rua è però critica sull’unificazione dei contratti della conoscenza: «La riduzione per legge a soli 4 comparti non ha permesso di trovare lo spazio per garantire ai settori strategici di Ricerca, Università e Alta Formazione un proprio comparto, anche unico, di contrattazione – commenta la segretaria Sonia Ostrica – Abbiamo tuttavia ritenuto essenziale che la Uil firmasse per garantire una rappresentanza fortemente orientata alla valorizzazione dei diversi settori».