Prima di essere un marchio, Chanel è un’avventuriera. Non le piace raccontare di sé: «La realtà non mi fa sognare e io amo sognare». Non era facile entrare in contatto con lei, teneva le persone a distanza, tranne gli amici che conosceva da molto tempo, Picasso, Cocteau, Stravinskij, con alcuni dei quali aveva avuto appassionate relazioni amorose. Solo loro si permettevano di chiamarla Coco, per tutti gli altri era «Mademoiselle», che non evoca il termine di zitella, ma piuttosto quello di imprenditrice. Alla fine della faticosa creazione di una sfilata, subentrava l’angoscia. Quando il sole tramontava a rue Cambon, dove era il suo atélier, si sente smarrita. Nelle stanze vuote e silenziose resta con la sola compagnia del guardiano.

Suo padre Albert, un venditore ambulante che con il carretto gira per le fiere a vendere la sua mercanzia, si ferma a Courpière in Alvernia, ospite del suo amico Marin Devolle. Noto seduttore, conquista Jeanne, la sorella di Marin, che fa la sarta. All’avvicinarsi del parto, la famiglia Devolle si mette alla sua ricerca e lo ritrova a Saumur, un paese sulla rive della Loira, dove il 19 agosto 1883 nasce Gabrielle. Sua madre lo segue per mercati e fiere, seguita dai numerosi figli che nascono nel frattempo. L’anno successivo i genitori si sposano e vanno a abitare con Gabrielle e la sorella maggiore Julia a Issoire, dove la piazza del mercato è grande e sempre molto frequentata. Quando si spostano a Courpière i piccoli Chanel sono già diventati quattro. Dopo un’altra assenza, Albert scrive che fa il locandiere a Brive-la-Gaillarde, Jeanne lo raggiunge, ma scopre che è solo un dipendente e vuole che sua moglie faccia la cameriera. Ma già cagionevole di salute, dopo qualche mese muore di tubercolosi a trentatré anni. Gabrielle ne ha dodici e con la sorella Julia viene affidata alle monache della Congrégation du Saint-Coeur de Marie a Obasine, a quindici chilometri da Brive. Molti anni più tardi a un amico che la conforta per la perdita di una persona cara rispose: «Non cerchi di spiegarmi quello che provo. Lo so fin dalla mia più tenera età. Mi hanno tolto tutto e sono morta. Ho provato questo a dodici anni. Si può morire più volte nel corso di una vita».

Nel 1900 Gabrielle ha quasi diciott’anni, età oltre la quale le suore tengono solo le ragazze disposte a prendere il velo. Viene accolta in un altro istituto religioso di Moulins, in cui incontra Adrienne Chanel, della sua stessa età, l’ultima figlia dei nonni. Non si tratta di un orfanatrofio ma del pensionato Notre-Dame frequentato dalla borghesia di Moulins. Oltre al collegio a pagamento comprende anche un internato per ragazze indigenti. Gabrielle non è insensibile a questa differenza che la rende ancora una volta diversa. Per fortuna con lei ci sono anche Adrienne e Julia. Adrienne, di straordinaria bellezza, è stata adottata dalle suore che la lasciano spesso libera. L’amicizia con Adrienne le rende quel periodo meno duro. Nel collegio, e nella mansarda in cui dormono durante le vacanze a Varennes, parlano a lungo, anche fino all’alba.

Il colletto
Del soggiorno di Moulins a Gabrielle rimangono impressi tre dettagli, che potrebbero sembrare insignificanti ma che restano per sempre nella sua memoria: il colletto dei collegiali, la cravatta a fiocco e il nero dei loro grembiuli. Quando diventa famosa fa adottare alle donne che veste il colletto, aggiunge una cravatta di crêpe de chine e decide che il colore prediletto è il nero che non passa mai di moda. Nascono così tailleur come non se ne erano mai visti.

Le uscite dal collegio di Notre-Dame sono rare, per le processioni e per la festa del Corpus Domini. In quell’occasione Gabrielle capisce che Moulins non è soltanto una città di conventi. Quando compiono vent’anni, Adrienne e Gabrielle sono assunte come commesse nella boutique di rue de l’Orloge che oltre ai corredi matrimoniali esegue su ordinazione abiti per signore. Se ne occupano le allieve delle suore che cuciono come fate. I dintorni della città sono disseminati di castelli e molti hanno la loro scuderia con cavalli che partecipano alle corse. Le mogli dei proprietari si rivolgono per i loro acquisti al negozio di rue de l’Orloge. Gabrielle che sta per compiere ventun anni, prende in affitto una camera in città, e con Adrienne cominciano a inventare cappelli. Ormai le castellane si rivolgono direttamente a lei.

A Moulins sono acquartierati molti reggimenti che frequentano il Café Chinois, l’Alcazar e la Rotonde. Senza il dinamismo e la determinazione di Gabrielle la riluttante Adrienne non sarebbe mai entrata alla Rotonde che è un caffè concerto. In mezzo ai sovreccitati ufficiali di fanteria, Gabrielle ascolta, guarda e sembra divertirsi. Si fa scritturare come «poseuse», una delle figuranti che accompagnano la vedette, ma ben presto diventa lei stessa la vedette. «Qui qu’a vu Coco dans le Trocadéro», è una vecchia canzone che diventa il suo portafortuna. Il pubblico chiede il bis urlando «Coco! Coco!» che da quel momento diventa il suo nome di battaglia. Sperando di affermarsi con il canto, si trasferisce a Vichy dove incontra il suo primo amore, Etienne Balsan un ricco alto borghese. Benché perplesso sulle qualità vocali dell’amica, si adopera per favorire la sua avventura canora. Ma Gabrielle ama da sempre il cucito e così con Adrienne arrivano a Vichy con cappelli e abiti confezionati da loro.

Cavalli
Nel 1907 Gabrielle si trasferisce a Royallieu nel castello di Etienne, che è un patito dell’equitazione. Coco decide di dedicarsi alla nuova avventura. Scopre un sarto di campagna che veste gli stallieri e si fa confezionare da lui un paio di pantaloni per andare a cavallo. All’epoca dominano gonne lunghe, cappelli ingombranti, scarpe strette, tacchi alti, tutto quello che intralcia il passo e rende necessario aiutare le donne a muoversi, contribuendo a ribadire nei mariti l’idea della sottomissione femminile. Se all’insaputa del marito e della cameriera si vuole togliersi un abbigliamento così complicato, occorre prevederlo in anticipo come un trasloco. Prendersi un amante era un’impresa difficilissima.

Durante la primavera del 1908 arriva a Royallieu Arthur Capel, detto Boy, un armatore inglese che vive in Francia. Quando sorgono tra Gabrielle e Etienne i primi dissapori, Boy è l’unico a sostenerla. Stanca di vivere ritirata nel castello, decide di riprendere a lavorare. Etienne si offre di prestarle il suo rez-de-chaussée al 160 del boulevard Malesherbes di Parigi. E Boy le manda le sue amiche. Affascinante come sempre, e continuando a vestirsi come una collegiale, Gabrielle si fa subito un nome coi suoi cappelli semplici, senza piume né velette. Arthur crede fermamente nel talento di Gabrielle e le trova per il suo lavoro un mezzanino, al 21 di rue Cambon. Coco Chanel ha sempre detto di aver amato una sola volta e di aver conosciuto nella sua vita soltanto un uomo che sembrava creato apposta per lei: Arthur Capel. Imprevedibile nei suoi interessi, quando conosce Isadora Duncan, che vive in una specie di falansterio circondata da artisti di ogni genere, Coco decide di dedicarsi alla danza, diventando allieva della coreografa Caryathis.

Dal 1911 sogna di creare per le sue clienti quello che inventa per se stessa. Dai maglioni, come quelli di Arthur, ai sweater e ai blazer che si fabbricavano solo in Inghilterra. Ha vent’otto anni, bella, sottile, bruna, straripante di vita. La boutique per il momento è poco più di un passatempo. Il suo solo desiderio è sposare Boy. Con la ricchezza, il matrimonio le avrebbe portato la felicità, la rispettabilità, il riconoscimento sociale. Nella primavera del 1913 al Thèâtre des Champs-Elysées assiste sbalordita allo spettacolo dei balletti russi di Serge Diaghilev con la musica di Igor Stravinskij.

Il tailleur
Le signore apparivano in pubblico con abiti bianchi ricamati, scarpe a punta con i tacchi e quattro cinturini, un triplico giro di perle che scendeva sul corpino e un parasole in mano. I cappelli erano poi dei veri e propri monumenti con penne di struzzo e rose di mussola. Incoraggiata e finanziata da Arthur, Gabrielle apre una boutique a Deauville e comincia a girare per la città con un tailleur di taglio maschile, comode scarpe dalla punta rotonda, sconvolgendo le convenzioni della moda di allora. Si mostra al polo, dove Boy è un campione, col colletto aperto e un curioso cappello, una specie di bombetta appiattita, un panama di sua invenzione. La città sul mare è frequentata da nobili e da ricchi in villeggiatura, le cui mogli cominciano a frequentare il negozio di Chanel che ha davanti un tendone bianco con il suo nome scritto in nero. Si può allargarlo per proteggere dal sole il marciapiede con sedie e tavolini dove si siedono le clienti.

In quell’anno muore Julia, la sorella maggiore che lascia un orfano di cui si prendono cura Gabrielle e Boy, mandandolo nel prestigioso collegio inglese di Beaumont. Preso dalla politica, Boy è sempre più assente da casa. Gabrielle si rende conto che non l’avrebbe mai sposata. Decisa a assicurarsi la propria indipendenza, inventa nuovi modelli usando la flanella e il tessuto a trama fitta come i pullover degli stallieri. La linea sciolta non ha bisogno del busto e il corpo è appena suggerito.

La maison
Il contributo di Gabrielle alla Prima guerra mondiale si limita a confezionare le divise per le infermiere. Arrivata l’estate, le signore osano quello che non avrebbero mai pensato di fare prima, nuotare. Coco inventa dei costumi da bagno castissimi con i pantaloni a sbuffo che arrivano al ginocchio. Durante la licenza Arthur va con Gabrielle a Biarritz, dove con il suo aiuto apre una vera e propria «maison de couture» con trecento lavoranti, lanciando la sua prima collezione con abiti esclusivi che vengono venduti a tremila franchi. La sua indipendenza è assicurata. Dall’industriale Rodier compra tutto il suo stock di jersey. L’abito che confeziona col nuovo tessuto è a V e si apre su un gilet di taglio maschile che lascia scoperto il collo e il décolleté con una sciarpa che scivola dolcemente attorno ai fianchi. Uno dei primi segni forti della rivoluzione Chanel, il primo modello di Coco pubblicato nel 1916 da Harper’s Bazaar.

La morte di Arthur, che ha un incidente mentre sta raggiungendo l’aristocratica inglese da poco sua moglie, la lascia straziata, anche se non riesce a versare neppure una lacrima. Nel suo testamento, l’amico di una vita che fin dall’inizio aveva creduto in lei, le lascia quarantamila franchi, con cui ingrandisce la boutique parigina di rue Cambon non più al 21 ma al 31, dov’è tuttora. Nello stesso tempo acquista la villa Bel Respiro a Garches a sedici chilometri da Parigi, da cui scende tutti i giorni in automobile con lo chauffeur. Quando il grande compositore russo Igor Stravinskij si stabilisce a Garches, ha un breve flirt con lui.

Alla fine dell’estate del 1920 avviene l’incontro con il giovane Dimitri Pavlovich, l’unico nipote delle zar sopravvissuto, inaugurando la stagione russa della maison Chanel, con il cappotto ricamato e la stola di pelliccia, che appaiono entrambi sulle pagine di Vogue. Ma il contributo più importante di Dimitri riguarda i profumi sempre molto celebrati alla corte degli zar. Gabrielle incontra a Grasse il «naso» Ernest Beaux e creano insieme cento anni fa lo «Chanel n. 5», destinato a entrare nell’immaginario collettivo. La stessa bottiglia del profumo con la forma di un blocco ad angoli acuti, senza degli ornamenti di amorini, dentellature e fiorellini dei suoi concorrenti, punta tutto sulla rivoluzionaria semplicità del prodotto.

Abbandonato Bel Respiro, si trasferisce al n. 29 di Faubourg Saint-Honoré. Quando Diaghilev prepara Le train bleu, il famoso balletto che è insieme acrobazia, satira e pantomima, affida la realizzazione dei costumi a Chanel. Lo scenarista è Jean Cocteau, con cui collaborerà per quattordici anni: «Ho chiesto di fare i costumi per i miei drammi a Mademoiselle Chanel perché è la più grande sarta del nostro tempo. Non immagino le figlie di Edipo mal vestite». Quando Coco rinuncerà a lavorare con lui, Cocteau generosamente dice: «Le sue ire, le sue cattiverie, i suoi gioielli favolosi, le sue creazioni, i suoi ghiribizzi, le sue esagerazioni, la sua gentilezza, nonché il suo humour ne fanno un personaggio unico, avvincente, attraente, repellente, eccessivo, insomma umano».

Nell’affollata, anticonformista vita sentimentale di Chanel entra a questo punto High Grosvenor, secondo duca di Westminster, chiamato Bendor per i suoi capelli biondi, che diventa il suo amante. La stagione inglese si svolge tra Westminster e Eaton Hall e sugli yacht del duca appassionato del mare. Coco non esita a sorprendere i suoi nuovi amici inglesi, mescolando berretti da marinaio, preziosi braccialetti e la celebre cascata di perle.

La robe noire
Nel 1926 l’edizione americana di Vogue pubblica l’ultimo modello di Coco, una vertigine in nero. Un semplice tubino in crêpe de chine, con maniche lunghe e attillate, destinato a diventare una specie di uniforme che tutte le donne vogliono indossare. Il modello, che ottiene subito un successo enorme, non manca di suscitare violente discussioni.

Sam Goldwyn le offre un contratto da un milione di dollari per vestire le attrici. Gabrielle accetta e nell’aprile del 1931 arriva a Hollywood. Si fa accompagnare dalla sua amica, la grande pianista Misia Sert. È corteggiata da Greta Garbo, Frédéric March, Marlène Dietrich, George Cukor, Claudette Colbert, onorati di incontrare il più grande cervello che la moda avesse mai conosciuto. Ma dopo il primo film vestito da Gabrielle, le dive si ribellano. L’avventura americana è finita. Negli anni Trenta, tra la casa di Parigi e la villa La Pausa sulla Costa Azzurra, Chanel è il punto di riferimento di intellettuali, artisti, scrittori, registi, attori, musicisti, che vedono in lei il simbolo stesso della moda. Se affascina tutti con l’ irrefrenabile vivacità, il solo che non riesce a sedurre è il giovane Luchino Visconti, il bellissimo e tenebroso aristocratico milanese che è in Francia deciso a fare il cinema. Amica da sempre di Jean Renoir, Coco nel ’39 realizza i costumi di La règle du jeu, il capolavoro del grande maestro francese.

Quando nel 1940 cerca di far rimpatriare il figlio di Julia prigioniero in Germania, incontra per caso il barone Hans Gunther von Dincklage, detto Spaz cioè passero, membro del controspionaggio nazista, con cui vive un’intensa storia d’amore. Mentre Parigi conosce i momenti più drammatici della sua storia, tra fucilazioni, rastrellamenti e deportazioni, Gabrielle e Spaz, molto bello, discreto, sempre in abiti borghesi, vivono la loro relazione clandestina. Alla liberazione di Parigi, Gabrielle subisce un interrogatorio come collaborazionista, ma ne esce senza conseguenze. Decide di andarsene a Losanna, in Svizzera.

La scala degli specchi
Quando nel 1954 a settantuno anni torna in Francia, l’atmosfera della maison Chanel è elettrica. Tutti l’aspettano, ma lei non si fa vedere e rimane nel suo posto preferito, nascosta in cima alla scala, tra gli specchi. La sua prima collezione è un clamoroso insuccesso. Ma si rimette al lavoro e in un anno torna alla ribalta con un‘immagine radicalmente diversa da quella di Christian Dior, il rappresentante del new look che per lei è il simbolo della moda che impone alle donne abiti dalle forme artificiali non tenendo conto della natura del corpo femminile. Senza mai fermarsi, dormendo poco, lavora instancabilmente tra il suo atelier e la camera dell’hotel Ritz dove vive. Puntuale, a ogni stagione, la sua casa produce una nuova collezione, sempre uguale e sempre diversa. Fa in tempo a vedere angosciosamente la traccia di sangue che la ferita del presidente assassinato lascia su un suo tailleur rosa indossato da Jackie Kennedy. Sola nella sua stanza d’albergo, Gabrielle Chanel detta Coco muore a ottantacinque anni il 10 gennaio 1971, giusti cinquant’anni fa.