Se c’era un pittore che Caravaggio ammirava tra i suoi contemporanei, quello era Annibale Carracci. È divenuta celebre la sua esclamazione di fronte alla S. Margherita di Annibale in Santa Caterina ai Funari: «Mi rallegro che al mio tempo veggo pure un pittore». Dipinta nel 1599, la S. Margherita è intrisa di cultura veneziana, ben diversa dalla smaltata Assunta che Annibale eseguirà di lì a poco per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, che ammiriamo ancora oggi affiancata dalla Conversione di Saulo e la Crocifissione di S. Pietro di Caravaggio.

PUR NELL’AMMIRAZIONE, il contrasto tra due modi dialettici di intendere il «naturale» si era stava facendo sempre più marcato, e svelava un contrasto molto più profondo: quello di intendere il sacro, i suoi misteri, i «fatti» della religione e i modi della devozione. Due Madonne di Loreto, stesso anno, 1605: una, di Annibale Carracci, in S. Onofrio al Gianicolo, l’altra, di Caravaggio, in S. Agostino in Campo Marzio. La prima è seduta sulla casa in volo, sorretta dagli angeli, in viaggio tra uno scalo e l’altro dei cinque che da Nazareth la portarono miracolosamente a Loreto.

La seconda appare, in piedi, sullo stipite della casa con il bambino in braccio, e si offre alla devozione semplice di due pellegrini stanchi e impolverati. È una donna in carne e ossa, una donna che Caravaggio conosce molto bene. «Lena», Maddalena Antognetti, nel 1605 ha 26 anni e un bambino di due, cui ha dato il nome di suo padre, Paolo, e che forse è da riconoscere in quello ritratto in questa tela, il più bel bambino della storia dell’arte. Il dipinto provocò «estremo schiamazzo» ma non fu mai rimosso dall’altare della cappella Cavalletti.

Riccardo Bassani è tornato, con un libro uscito a ridosso del 450° anniversario della nascita di Michelangelo Merisi, su un tema già affrontato nel discusso Caravaggio assassino scritto assieme a Fiora Bellini nel 1994: il rapporto tra Maddalena Antognetti e il pittore. C’è uno slittamento significativo già nel titolo, La donna del Caravaggio (Donzelli, pp. 448, euro 34, postfazione di Fiora Bellini), che orienta il focus dell’indagine sulla donna, e gioca su quella preposizione articolata che sembrerebbe facile da interpretare ma non lo è affatto.

UNA TALE «LENA» è al centro di uno degli innumerevoli incidenti più o meno gravi riportati dalle carte d’archivio nella città di Roma, rissosa come poche altre, in cui la quantità schiacciante di regole, stabilite da un potere ecclesiastico che pretende di normare qualsiasi aspetto della vita dei cittadini, rende in realtà facilissimo il contravvenirle. Tanto più che coloro che dovevano far rispettare le regole erano personaggi corrotti, prepotenti e violenti, oltre ad essere i primi a infrangerle. E dal racconto emerge, ma ormai questo è più che assodato, che gli accessi d’ira e gli atti di violenza erano all’ordine del giorno, inserendosi in uno sciagurato sistema dell’onore, sempre minacciato, sempre da difendere. Caravaggio non ne aveva certo l’esclusiva.

IL BARGELLO DI ROMA Ovidio Marchetti incrocia la vita di Amabilia Antognetti e sua sorella Maddalena poco dopo che le due, agiate figlie di mercante, sono rimaste orfane di padre e la prima vedova. La scelta per le sorelle è obbligata: andare a servizio o prostituirsi. Ovidio Marchetti le protegge a suo modo: mettendo incinta Amabilia e stuprando sua sorella, che circuisce con una messinscena raccapricciante. La manda a chiamare fingendosi il cardinale di cui Maddalena è divenuta l’amante (Alessandro Peretti Damaseni) e «mascherato» – del resto è una sera di Carnevale del 1599 – da cardinale, le si presenta. Allo smascheramento segue la violenza, ripetuta.

Bassani ricostruisce la figura di Maddalena Antognetti con precisione di storico ma, si direbbe, con affetto, attraverso i documenti pubblicati nella corposa appendice, tra i quali un centinaio di inediti. Sono raccolti in cinque anni, dal 1599 al 1605, fondamentali per lei e cruciali nella vita romana del pittore. E li lega fra loro, quei documenti, con un sistema indiziario che gli permette di associare due eventi finora ritenuti indipendenti e di vedere in modo nuovo il famoso fatto che dà inizio alla storia, precisandone così la portata e il significato.

IL FATTO NOTO È QUESTO: il notaio Mariano Pasqualoni (che scopriamo essere un impenitente attaccabrighe che abusava sistematicamente del suo potere per intimidire e minacciare) viene aggredito in piazza Navona una sera di luglio del 1605. Pochi giorni prima, sul Corso, Caravaggio era stato da lui «incaricato di parole» (oltraggiato) per via di «Lena», ma il pittore non aveva con sé quella spada che qualche giorno dopo avrebbe usato per menare, a tradimento, una gran botta sul capo del Pasqualoni.

Quello meno noto, e comunque mai messo in relazione con il primo, è che il pittore aveva deturpato la casa di tali Laura ed Isabella che abitavano sul Corso e avevano probabilmente fatto da cassa di risonanza alla disputa che aveva per oggetto Maddalena. Aggressione al Pasqualoni e deturpazione della casa di Laura e Isabella: questo fu suggerito al Merisi dal suo «cervello stravagantissimo» per vendicare l’onore, suo e di Maddalena. Perfettamente all’interno di un codice di comportamento, se non legale, ampiamente ammesso socialmente.
Non sappiamo però quali siano state quelle parole e non sapremo mai di che natura sia stato il rapporto fra il pittore e la modella: come ricorda Fiora Bellini nella postfazione, i due nei documenti non si incontrano mai.