Intervistato nella trasmissione «La Zanzara» su Radio 24, Oliviero Toscani ha brutalmente attaccato la giovane donna morta suicida in seguito alla diffusione di suoi video privati: «Non voglio insultarla ma è un po’ fessa, una fessacchiotta. Viviamo di comunicazione. Non puoi fare qualcosa del genere e poi stupirti, e ammazzarti. Devi sapere che può accadere, non puoi deprimerti. Ha fatto sesso e poi l’ha mandato in giro. Le andava bene che qualcuno vedesse. Se hai fatto un video è già una cosa pubblica, non rimane solo in tuo possesso».

Queste parole riflettono una mentalità collettiva che nasce anonima e tale resta, nonostante la pretesa dei suoi portavoce di darle dignità di pensiero. Il mondo va in un certo modo, chi si adatta è salvo, per i disadattati non c’è scampo.

Eppure in un discorso votato al conformismo (di cui la logica della provocazione pura è un servo fidato), Toscani un po’ di emozione, che lo impegna, la fa trapelare. La morte della giovane non la digerisce, le si rivolge come se fosse ancora in vita e la rimprovera accoratamente. Rimprovero di un padre alla figlia, rimprovero, più in profondità, di un figlio alla madre.

Nessuno percepisce meglio dei figli la fragilità della madre. Fragilità legata alla femminilità, alla vulnerabilità della sua esposizione unilaterale: l’apertura, senza seconde intenzioni, all’altro. La percezione della vulnerabilità materna fonda il sentimento di compassione, ma esso si trasforma in terrore, tutte le volte che la ferita potenziale si manifesta come realtà concreta, lacerazione pregressa di nuovo sanguinante. Se l’apertura alla vita diventa voragine, il figlio, a un passo dall’orlo di un crollo irreparabile, ricusa la femminilità della madre, diventa promotore di un cinismo tanto inconsapevole quanto militante. Che lei non si conceda mai: possesso illusorio di tutti, conquista reale di nessuno.

Il realismo cinico, regolatore dei nostri scambi «comunicativi», prescrive alla donna la rinuncia alla femminilità se vuole avere un posto nel mondo: come regina androgina o come oggetto di mercimonio, ugualmente neutro sul piano erotico profondo. Sono due forme di presenza diseguali sul piano del potere, ma ugualmente rassicuranti per una società che insegue l’anestesia in profondità e l’agitazione in superficie.

Le donne sappiano: Madame Bovary se l’è cercata. Il mondo non è casa per chi esita, inciampa, finisce in balia degli eventi. Rendiamo onore ai «vincenti» e abbiamo orrore dei «perdenti». È un bel problema che i «vincenti», costruiti come chiusura dell’essere, negazione folle del dolore, e incapaci di vivere veramente, sono caricature, maschere dell’esistenza. I «perdenti», falliti nell’auto-alienazione, sono più vivi.

L’orrore crea assuefazione se si riduce a effetto shoccante. Lo shock è parte di una strategia comunicativa, di cui Toscani è stato protagonista: connettere una cosa perturbante con una cosa da vendere rassicurante. La prima è digerita rapidamente e dimenticata, ma la seconda resta nella mente. La lezione tragica è stata capovolta.

Le figure tragiche, nella letteratura come nella vita, figure paradigmatiche del dolore (non del peccato, della colpa o della stupidità), ammoniscono con il loro fallimento che non è facile essere felici e appagati (e non si deve pretenderlo come compensazione ideale alla propria frustrazione). Vive nel momento della loro caduta, svelano l’inganno della divisione tra forti e deboli, tra smaliziati e fessi.

Madame Bovary ha smarrito l’oggetto desiderato. Nondimeno, il suo gesto non è morto. Cerca ancora dentro di noi. Basterebbe proteggerlo, un poco.