Il deserto sconfinato delle Terre Desolate un tempo era un mare, tra le dune fumanti di calore, le rocce acuminate bruciate dal sole e gli scheletri di vegetali nati già morti si ergono relitti di navi arrugginite, antiche barche che sprofondano lente nella sabbia come un epicedio metallico ai tempi prima della fine. E’ il panorama il vero protagonista di Mad Max, versione videogiocosa della saga filmica cominciata nel 1979 dall’australiano George Miller e proseguita proprio quest’anno con un quarto film sorprendente diretto con la solita ispirazione post-apocalittica dallo stesso regista. Le ambientazioni desertiche assumono tanto rilievo non perche il folle Max sia un personaggio ininfluente o appena abbozzato, puro vettore delle azioni del giocatore, ma perché egli si integra alla perfezione con le asperità dei luoghi che attraversa fino a diventarne una parte egli stesso, un essere umano tormentato dai ricordi nella stessa maniera con la quale devastanti tempeste di sabbia artigliano la terra.

Uscito per Playstation 4, XBox One e PC, distribuito erroneamente troppo vicino alla galassia Metal Gear Solid V in cui rischia di smarrirsi, Mad Max è comunque un videogame da non trascurare, amabile soprattutto da chi ama la saga filmica; per i fan acquista infatti un notevole valore a causa dell’arte con cui ripristina le atmosfere disperate, violente e neo-barbariche dei lungometraggi. L’inizio è turbolento, immediato e possiede la facoltà di trasportarci in pochi secondi in un universo riconoscibile, senza troppi artifici, con una traumatica gentilezza. Max corre sulla sua Interceptor inseguito dagli usuali e abominevoli nemici dal look bestiale e vagamente metallaro, ne elimina qualcuno con il consueto virtuosismo quando ecco che arriva, su una monumentale vettura elefantiaca, il cattivissimo Lord Scrotus (nome che non si capisce se sia ispirato e ironico o solo infelice) uno dei figli dell’Immortan Joe di Fury Road. Il perfido colosso, capo di tutti i predoni della zona, riduce Max in fin di vita, gli sottrae la preziosa automobile, lo abbandona senza risorse sulla sabbia (grave errore, Scrotus) e se ne va via baldanzoso malgrado l’ex-agente Rockatansky gli abbia infilato dieci centimetri della lama di una motosega nel cranio. Mad Max è stata sempre e in maniera poetica una serie magistrale di iperboli.

Dopo questo fulminante preludio comincia l’avventura vera e propria che pone l’enfasi sulla sopravvivenza ed è strutturata nello stile di un open-world parziale, condizionato da una forte componente narrativa e lineare che tiene incollata e non disperde la trama. Senza una vettura Max è spacciato ma il fato gli mette sulla strada Chumbucket, un gobbo deforme, con una dialettica spassosamente ambigua e dalle mistiche abilità di meccanico. Sarà lui a promettere a Max la realizzazione della Magnum Opus, la vettura suprema. Nel gioco oltre che a sbaragliare le orde di malvagi in suggestivi scenari di sabbiosa decadenza, tirando cazzotti con un riuscito stile ludico che imita la serie Arkham di Batman, o sfrecciare sulle strade polverose in spettacolari e pirotecnici duelli tra veicoli, dovremo cercare le risorse per portare al massimo livello il progetto di Chumbucket. Qualche volta si spara o si accoltella, tuttavia i proiettili e le lame sono davvero realisticamente rari e conviene utilizzarli in maniera parsimoniosa, così come le risorse idriche e alimentari.

Mad Max ci ricorda come molto dell’immaginario fantastico post-apocalittico degli ultimi trenta anni sia stato influenzato dalle invenzioni dell’eclettico George Miller, non solo quello occidentale, basta pensare al giapponese Ken il Guerriero. Per cui è stato importante ritrovare Mad Max al cinema e in versione interattiva, anche senza il volto storico di Mel Gibson, d’altronde assente pure nel videogioco. Perché Mad Max è una grande idea, un Orlando talmente furioso e folle in un mondo dove sono tutti impazziti da diventare suo malgrado e sempre, un eroe.