Macron, un anno tra riforme e contestazioni
Francia Per il primo anniversario gli «insoumis» fanno «la festa» al presidente con una manifestazione a Parigi. Il ritmo accelerato delle riforme, per il momento soprattutto pro-impresa. La resistenza crescente, dalle ferrovie alle università
Francia Per il primo anniversario gli «insoumis» fanno «la festa» al presidente con una manifestazione a Parigi. Il ritmo accelerato delle riforme, per il momento soprattutto pro-impresa. La resistenza crescente, dalle ferrovie alle università
Gli insoumis oggi faranno «la festa» a Macron, con un corteo dall’Opéra a Bastille, a un anno dall’elezione all’Eliseo del giovane presidente.
C’è agitazione, la politica di Macron genera inquietudine e resistenze, il paese a un anno dal voto traumatico con la presenza di Marine Le Pen resta spaccato. Ci sono vari conflitti in corso, ferrovie e università in testa. Dopo la difficile manifestazione parigina del primo maggio, i prossimi appuntamenti saranno il 22 con la funzione pubblica in piazza e il 26 maggio, per una manifestazione nazionale della sinistra assieme ai sindacati (non tutti). Secondo i sondaggi, il 57% dei francesi ha un giudizio negativo della politica in atto, il 41% dà fiducia al presidente (la percentuale più alta nell’elettorato di destra al 54%, 48% tra gli ecologisti, ma 31% tra i socialisti). Una situazione migliore dei due predecessori, François Hollande e Nicolas Sarkozy, più o meno ai livelli di Jacques Chirac.
Macron si era fatto eleggere con la promessa di «liberare e proteggere» en même temps. Su questo programma il partito da lui fondato, En Marche, ha ottenuto una imponente maggioranza alle legislative. Il meccanismo non ha funzionato, per ora: si è vista soprattutto la liberalizzazione, molto meno la protezione. Di qui la crescita delle inquietudini e la forte contestazione. «Sono frutto di una forma di brutalità della storia», dice Macron. La brutalità è stata adottata anche nel modo di governare e questo gli viene fortemente rimproverato.
MACRON È GIOVANE e ambizioso, si presenta nelle vesti del «capo» senza falsi pudori. La sua propaganda, che funziona al massimo, parla di «verticalità» (presidenza jupitérienne) e sottolinea che le promesse fatte in campagna elettorale sono state realizzate o sono in via di realizzazione, con un ritmo accelerato di riforme. I perdenti della mondializzazione e chi parte sfavorito si sentono messi ai margini dai «primi di cordata», i favoriti.
Macron non riesce a liberarsi dalla critica di essere il «presidente dei ricchi». Tra le sue riforme, infatti, c’è un cocktail fiscale che sta favorendo i più abbienti, dall’abolizione della patrimoniale per i redditi da capitale (resta sull’immobiliare) fino all’ultima idea di sopprimere l’exit tax (imposta per scoraggiare l’esilio fiscale, che si è rivelata non molto efficace) passando per tutto un pacchetto di misure pro-impresa. L’obiettivo è ristabilire «l’attrattività» della Francia come terra di investimenti. Un «momento sansimoniano», per il saggista Brice Couturier (per gli oppositori è più prosaicamente un «Thatcher»). La missione dichiarata è far diminuire la disoccupazione. Fa parte di questo programma anche l’ultima versione della Loi Travail, che è passata senza troppe contestazioni (dopo la forte resistenza alle riforme di Hollande).
Macron ha voluto mettere tutto in moto, dalla riforma della scuola di ogni ordine e grado (oggi sono contestate le nuove regole per l’accesso all’università), all’adeguamento dell’organizzazione sociale a un’economia mondializzata: il prezzo è stato l’indebolimento di tutte le strutture intermedie (sindacati compresi) a vantaggio dello stato.
«FRANCE IS BACK» ha detto Macron al mondo, in economia ma anche in politica. A cominciare dall’Europa, a cui ha dedicato i suoi migliori discorsi, mettendo in guardia contro i rischi di «guerra civile europea»: «Non voglio appartenere a una generazione di sonnambuli, una generazione che ha dimenticato il proprio passato o che rifiuta di vedere i tormenti del suo presente», ha detto di fronte all’Europarlamento. Ma l’indecisione della Germania attuale fa soffiare un vento contrario. E la situazione interna lo ha fatto cedere al tanto criticato populismo sul piano delle politiche migratorie, con una legge repressiva che finirà per limitare anche il diritto d’asilo che, al contrario, prometteva migliori garanzie.
Sul piano internazionale, utilizzando il fasto del Louvre o di Versailles, ha cercato di rimettere la Francia, potenza di livello medio, al centro del gioco. Anche usando l’arma dell’intervento militare, in Siria. Si è fatto paladino dell’accordo di Parigi sul clima (ma in Francia tarda a chiudere la centrale di Fessenheim e a Notre-Dame-des-Landes, dopo la positiva rinuncia alla costruzione dell’aeroporto, c’è stata la repressione della «zad»).
LA DEBOLEZZA dell’opposizione ha fatto finora la forza di Macron. Il Fronte nazionale non si è più ripreso, dopo la sconfitta di Marine Le Pen al dibattito tv. La destra dei républicains è spiazzata e vira verso l’estremismo. Il Ps è moribondo. La sinistra della sinistra è dominata dalla France Insoumise, che oggi dà la sua prova di forza, cercando di sganciarsi dall’eccessiva dipendenza dal leader Jean-Luc Mélenchon, con la manifestazione organizzata dal deputato François Rufin.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento