L’Europa che «protegge» passa ai fatti, ma attraverso la strada più problematica: quella della difesa. Ieri al Consiglio europeo, che ha visto il debutto di due capi di stato e di governo – Emmanuel Macron per la Francia e Leo Varadkar per l’Irlanda – il presidente francese ha espresso soddisfazione per i passi avanti «storici» fatti dal progetto di difesa europea, con il «fondo» proposto dalla Commissione lo scorso 7 giugno per permettere ai paesi membri maggiore cooperazione, che in prospettiva potrà contare su investimenti dell’ordine di 5,5 miliardi di euro l’anno. L’Europa della difesa può strutturarsi senza cambiare i trattati. I passi avanti sono ritenuti necessari di fronte all’imprevedibilità del presidente Usa, Donald Trump, e alle minacce che gravano sull’Europa, scossa da molteplici attacchi terroristici e in tensione a fasi alterne con la Russia di Putin. Nella Ue esistono 178 sistemi diversi di armamenti (contro una trentina negli Usa), 17 tipi di carri armati, un numero di tipi di elicottero maggiore di quanti siano i paesi che possono permettersi di comprarli. L’Europa della difesa significa razionalizzare costi e investimenti, mentre oggi l’80% delle acquisizioni e il 90% dei progetti di ricerca sono su base nazionale.

Purtroppo, ieri, nella risposta che la Ue sta cominciando a dare all’ingiunzione di Trump ai paesi Nato sull’aumento del livello di spesa al 2% del pil, non è stato affrontato il tema della distribuzione di questa percentuale: nelle spese per la «difesa» possono rientrare quelle dell’aiuto allo sviluppo, che favoriscono la pace nel mondo grazie alla prosperità.

L’Europa che «protegge» promossa da Macron per ora si è incagliata nel capitolo che riguarda il commercio. La Francia avrebbe voluto maggiori controlli sulle acquisizioni estere nella Ue – in particolare da parte della Cina – in settori strategici. «Il Consiglio tornerà su questa questione in una prossima riunione», è scritto nelle bozze del comunicato finale. La questione è molto delicata, perché per molti stati, i più liberisti, deve essere chiara la distinzione tra «protezione» e «protezionismo», soprattutto in un momento in cui la Ue si oppone alle scelte nazionaliste di Trump.

Macron, che ha intenzione di pesare di più in Europa dei suoi predecessori, insiste sul ruolo della Ue come risposta alla deregolamentazione causata dalla mondializzazione. È questa la «priorità» per il presidente francese, che mette in guardia contro la crescita dell’euroscetticismo. L’Europa va meglio, dopo la Brexit: sconfitta dell’estrema destra in Austria, in Olanda e in Francia, «contesto politico differente da quello che prevaleva qualche mese fa quando le forze anti-Ue guadagnavano terreno» ha scritto il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, nella lettera ai 28. «Stiamo risalendo lentamente la china», ma «il terrorismo resta una minaccia importante», anche perché i recenti attentati mettono in luce «una nuova ondata di radicalizzazione endogena» in Europa.

Anche per Angela Merkel la «priorità» è il futuro dell’Europa e il Brexit passa in secondo piano. Di Brexit i 27 hanno discusso con Theresa May a cena. La premier britannica ha accettato l’ordine proposto da Bruxelles: cominciare dalla questione della protezione dei diritti dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna e viceversa. Poi, in un secondo tempo, il negoziato affronterà il tipo di Brexit da realizzare. Quale modello? Per evitare di cadere dalla «scogliera» (hard Brexit), la scelta è tra quello della Turchia (accesso privilegiato al mercato unico, ma senza poter negoziare individualmente accordi di libero scambio), della Svizzera (serie di accordi bilaterali, accesso totale o parziale al mercato unico, ma libera circolazione delle persone, contributo al budget Ue e giurisdizione della Corte di giustizia), o della Norvegia (adesione nell’ambito dello Spazio economico europeo ma senza diritto di partecipare alle istituzioni comunitarie). Intanto, l’unità dei 27 di fronte a Londra si è già incrinata nella battaglia per aggiudicarsi le spoglie del Brexit, cioè la sede delle due Agenzie europee (Ema, medicinali e Eba, bancaria) basate a Londra. 21 paesi se le contendono.