«Voterò Emmanuel Macron». François Hollande è intervenuto ieri sul voto. In modo solenne, sulla scalinata dell’Eliseo, senza attendere si è rivolto ai cittadini: «La presenza dell’estrema destra fa una volta di più correre un rischio al nostro paese», per la «storia», per i legami con gruppi estremisti in Europa, per le «conseguenze» sulla vita economica del paese, la perdita di posti di lavoro con la minaccia dell’uscita dall’euro, «l’isolamento» della Francia in un momento di minaccia del terrorismo. Non è detto che l’intervento del presidente uscente abbia gli effetti scontati per il candidato di En Marche! arrivato in testa al primo turno (23,8%), ma solo con pochi punti davanti a Marine Le Pen (21,4%). La battaglia per il riporto dei voti al ballottaggio è iniziata già nella serata di domenica, appena sono stati divulgati i risultati.

A SINISTRA, il Ps all’unanimità invita a votare per Emmanuel Macron, ma porta in dote il magrissimo risultato di Benoît Hamon (6,3%). A destra, François Fillon, arrivato al terzo posto (19,9%) ha anche lui suggerito agli elettori di allinearsi a En Marche!, ma i Républicains non daranno consegne di voto. Jean-Luc Mélenchon aspetta che a decidere siano i militanti della France Insoumise.

Il primo turno ha fotografato una Francia fratturata, che ha spazzato via i due partiti che hanno governato la Francia negli ultimi 60 anni, 3 voti su 4 sono stati per un cambiamento. Per Macron ha votato la Francia che funziona, che se la cava nella mondializzazione, per Marine Le Pen una popolazione che si sente abbandonata, lasciata indietro. La frattura è anche geografica: le città hanno scelto Macron, a Parigi il candidato En Marche! ha sfiorato il 35%, le campagne si sono schierate con il Fronte nazionale. «Sarà un referendum pro o contro la mondializzazione selvaggia» ha annunciato ieri Marine Le Pen. Il rischio esiste, l’interpretazione del no al referendum sul Trattato costituzionale del 2005 era soprattutto di un rifiuto della mondializzazione liberista.

Per molti, a sinistra della sinistra, l’opposizione all’estrema destra più che dalle urne passa dalla protesta. Nella notte di domenica ci sono state alcune manifestazioni, anche scontri, a Parigi e in altre città, con una quarantina di fermi. Ma nessuna grande manifestazione come nel 2002, quando Jean-Marie Le Pen era arrivato al ballottaggio. Domenica ci sarà un gran concerto a Parigi, organizzato da Sos Racisme, dagli Studenti ebrei di Francia e dalla Cfdt.

EMMANUEL MACRON, L’ASSENTE DEL GIORNO DOPO. Un twitter per ringraziare Hollande per il «sostegno» e una gerba di fiori in ricordo delle vittime del genocidio armeno. Per il resto, la giornata di Emmanuel Macron ieri è cominciata tardi ed è stata «studiosa», trascorsa soprattutto in telefonate con ambasciatori e capi di stato e governo stranieri, assicurano al quartier generale del candidato. In preparazione c’è almeno una visita in una «zona rurale», dove i voti per Macron sono stati scarsi. L’équipe ha dovuto far fronte alla polemica sulla serata di domenica: una cena alla Rotonde, una brasserie di Montparnasse che fu frequentata da Modigliani, Lenin e Trotskij, con Daniel Cohn-Bendit e altri politici intellettuali, oltreché qualche personalità del mondo dello spettacolo. Una scena «alla Sarkozy» che non è piaciuta, perché ricorda troppo il Fouquet’s sugli Champs Elysées dopo la vittoria del 2007. Ma Macron non ha ancora vinto. Per il momento, la Cfdt invita a votare per lui (e la sede a Belleville è stata vandalizzata nella notte, con la scritta «morte ai collabos»). Come il Medef (Confindustria francese), il Ps all’unanimità, la Germania (Merkel e l’Spd), il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il sindaco di Londra Sadiq Khan, persino il sindacato di polizia di destra Alliance. E la Borsa (il Cac40 è salito ieri a più del 4%).

MARINE LE PEN AL MERCATO. La candidata del Fronte nazionale al mercato di Rouvroy, nel Nord-Pas de Calais, si è scagliata contro i sostegni di Macron: «Il vecchio fronte repubblicano tutto marcio, che i francesi hanno spazzato via con rara violenza, cerca di coalizzarsi attorno a Macron, ho quasi voglia di dire tanto meglio». Gioca a fondo la carta del «noi» e «loro», popolo ed élite. Giovedì sarà a Nizza, terra sarkozysta, per un comizio. Pochi sostegni ufficiali, molto probabilmente quello di Nicolas Dupont-Aignan (un po’ sotto il 5%), ma tante dichiarazioni che vanno a suo favore: come Sens commun, il movimento ultra-cattolico che era schierato con Fillon (un terzo del voto Fillon andrebbe a Le Pen), alcuni politici della destra classica. Jean-Marie Le Pen si è congratulato ieri con la figlia: «Gli ultimi discorsi sono stati molto jeanmarinisti», cioè più in linea con le posizioni tradizionali del Fronte nazionale, contro l’immigrazione e meno sociali. Secondo un sondaggio, Marine Le Pen perderà con il 38% di voti, comunque molto di più del risultato del padre nel 2002.

L’ATTESA DI JEAN-LUC MELENCHON. Il candidato della France Insoumise, che ha sperato fino all’ultimo di farcela per poi concludere per un soffio al quarto posto, aspetta che a decidere per il ballottaggio siano i militanti, con un voto Internet (di qui a venerdì, tre scelte: voto bianco/astensione/Macron). «Ognuno di voi sa in coscienza qual è il suo dovere, allora io mi allineo», ha detto nella serata di domenica. Il Pcf, che è stato alleato di Mélenchon nella campagna presidenziale, invece non ha dubbi: «Mai» ha titolato ieri L’Humanité sopra una foto di Marine Le Pen. Tra i militanti, però, la rabbia è forte e l’appoggio a Macron per nulla scontato. L’hashtag #SansMoiLe7Mai spopola. «Se Macron vince, France Insoumise sarà il primo partito di opposizione», riassumono. Come Philippe Poutou dell’Npa: «Macron non è uno sbarramento contro il Fn, non fa indietreggiare durevolmente il pericolo, la politica di austerità è causa del voto al Fn, bisogna riprendersi la piazza». Nathalie Artaud, di Lutte ouvrière, propone il voto bianco, «rigetto di Le Pen, senza dare cauzione a Macron». Mélenchon è arrivato in testa in molte zone operaie, persino a Trappes e a Evry, feudi di Hamon e Valls.

I SOCIALISTI SUONATI. Il Ps vota Macron ed entra in un tunnel che potrebbe essere senza ritorno. Non è ancora il momento del bilancio dell’eredità di Hollande, perché ci sono le legislative da preparare, «l’introspezione verrà» dice il segretario Jean-Christophe Cambadelis. Nel 2012, il Ps aveva tutto: Eliseo, Assemblea nazionale, Senato, la maggioranza delle regioni e delle grandi città. Oggi non ha quasi più nulla. L’hold up di Macron sull’elettorato socialista lascia un campo di rovine.

FILLON TORNA SEMPLICE MILITANTE. Si affilano i coltelli tra i Républicains (Lr), un partito a pezzi. «Non è la destra che ha perso, è Fillon», afferma l’ex ministro Eric Woerth. Fillon non sarà candidato alle legislative: «Non ho più la legittimità per guidare la battaglia». Ma quale linea avrà il partito? Chi lo guiderà? Il congresso Lr potrebbe essere anticipato a giugno.