A pochi giorni dal primo turno delle legislative (11 giugno), il presidente Macron e il governo di Edouard Philippe maneggiano con estrema cautela la dinamite della nuova loi Travail. Ieri, il governo ha precisato i tempi delle riforme sociali, che saranno «6 nei prossimi 18 mesi», ha detto Philippe: si inizia subito, con il progetto di legge che dovrà autorizzare il ricorso alle «ordinanze« (decreti che accelerano l’iter legislativo), sarà esaminato in consiglio dei ministri il 28 giugno, cioè 10 giorni dopo il secondo turno delle legislative, di modo da poter essere approvato dal nuovo parlamento.

LE «ORDINANZE» potranno così essere pronte per la «fine dell’estate» e approvate entro il 20 settembre. Per parare gli attacchi da sinistra, che sono partiti in seguito a qualche indiscrezione pubblicata sul quotidiano Le Parisien, il governo afferma di voler «rispettare le parti sociali», che saranno «consultate» a varie riprese questa estate, tra il 19 giugno e il 21 luglio. Ma Philippe afferma di voler attuare «grandi riforme per rinnovare il nostro modello sociale», una questione «indispensabile, urgente, il mondo attorno a noi si muove, c’è bisogno di protezioni che cambiano».

IL PRIMO MINISTRO rifiuta la «guerra sociale» promessa dalla sinistra, affermando che «la sola guerra sociale è la lotta alla disoccupazione». La materia è esplosiva, dopo la rivolta che ha accolto la legge El Khomri (e che ha causato la caduta di Hollande, non ha potuto ripresentarsi alla presidenza perché troppo impopolare). Ma Macron parte a testa bassa, sicuro di sé. Il programma è molto pesante. Inizia con la riforma del codice del lavoro, seguirà a ruota la riforma degli assegni di disoccupazione ( anche ai lavoratori autonomi), in seguito quella della formazione professionale (15 miliardi stanziati), la riforma dell’apprendistato, un aumento del potere d’acquisto dei lavoratori (attraverso la soppressione dei contributi salariali) e si concluderà, dall’inizio del 2018, con una nuova riforma delle pensioni, sesta e ultima tappa.

«NULLA È DECISO» sul codice del lavoro, dicono al governo, sperando di disinnescare la protesta che cresce, dopo che le indiscrezioni del Parisien hanno evocato una riforma radicale, con meno garanzie per i lavoratori, nella speranza di sbloccare le assunzioni e ridurre la disoccupazione (che è ancora superiore al 9%). «Si sta preparando un colpo di stato sociale senza precedenti», ha subito commentato Jean-Luc Mélenchon della France Insoumise. Per Benoît Hamon, ala sinistra del Ps, siamo «alla grande svendita dei diritti dei lavoratori».

I SINDACATI restano prudenti, aspettando gli incontri con il governo. Il contratto di lavoro non dovrebbe venire toccato, mentre dovrebbero essere «messe al sicuro» le relazioni di lavoro, a cominciare da un tetto agli indennizzi per licenziamento abusivo. «La fiducia non è spezzata», dicono alla Cfdt, sindacato riformista che non era stato ostile alla loi Travail.

FORCE OUVRIÈRE mantiene la porta aperta (ha un buon rapporto con la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, che aveva lavorato con Martine Aubry del Ps): per il segretario Jean-Claude Mailly, tutto «dipende dalla concertazione» e, per il momento, a differenza di quello precedente con la loi Travail, l’attuale governo sta rispettando il codice del lavoro e informa i sindacati. La Cgt è più dura, ma per il momento ha difficoltà a trovare seguito per organizzare la protesta di piazza già dall’ultima settimana di giugno.

IL PROGRAMMA ACCELERATO di Macron comprende anche la legge di «restaurazione della fiducia nella vita democratica», cioè sulla moralizzazione politica, che sarà presentata il 14 giugno, tra i due turni e la creazione di una task force per coordinare l’antiterrorismo, già oggi al Consiglio di Difesa. Per confermare tutto ciò e in tempi brevi, Macron deve ottenere la maggioranza alle legislative.

I SONDAGGI sembrano dargli ragione: En Marche potrebbe avere la maggioranza assoluta, con opposizioni deboli (secondo l’ultimo sondaggio, En Marche è al 29,5%, destra Lr al 23%, Fn 17%, France Insoumise 12,5%, Ps 8,5%, tradotti in seggi, su 577: 385-415 per En Marche, 105-125 per Lr, 5-15 Fn, 12-22 Fi+Pcf, 25-35 Ps). I francesi residenti all’estero, che hanno già votato domenica, hanno regalato un plebiscito a En Marche (ma la partecipazione è stata bassissima).