Emmanuel Macron, ministro dell’Economia da due anni, ha dato le dimissioni. E’ sostituito da Michel Sapin, già responsabile delle Finanze, che accentra tutti i poteri a Bercy. A 30 settimane dalle elezioni presidenziali, queste dimissioni sono una bomba politica, anche se non sono una sorpresa assoluta. Macron, 38 anni, che è arrivato alla politica dopo essere stato banchiere (da Rothschild) e aver collaborato con il filosofo Paul Ricoeur, si sentiva da tempo stretto nel governo. Vuole dedicarsi al movimento politico che ha lanciato da pochi mesi, En Marche! (Em, le sue iniziali), che non è “né di destra né di sinistra”, “progressista” ma “non socialista”. Macron vuole “essere libero”, per partecipare alla campagna presidenziale. In quale veste? Per ora non si pronuncia chiaramente. Ma nei fatti è già una prima sfida a François Hollande e alla sua probabile candidatura per il 2017. Una sfida a Manuel Valls, che anche lui sta scaldando i muscoli per essere pronto nel caso in cui Hollande rinunci. Macron ha specificato di aver portato avanti i “combattimenti che mi hanno autorizzato a fare” nei due anni a Bercy, criticando indirettamente Hollande, accusato tra le righe del breve discorso di addio a Bercy, di cedere ai compromessi dell’ultima ora, di non essere stato in grado di abbattere tutti i “blocchi” della società e dell’economia francese. Ammette di “non essere riuscito in tutto”. Presenta le grandi linee di un programma futuro, enumerando il suo impegno al ministero: cambiare l’immagine della Francia presso gli investitori internazionali, promozione della French Tech, dare nuove prospettive all’Europa del dopo Brexit. Nei fatti, Macron lascia un bilancio non troppo consistente: la legge che porta il suo nome di fatto è un calderone di piccole misure di aggiornamento liberista che hanno più irritato la sinistra che aprire l’economia (per i cittadini è soprattutto la promozione degli autobus al posto dei treni per i “poveri” e il lavoro alla domenica). Macron sarà il Blair francese del XXI secolo? Propone un liberismo anglo-sassone corretto alla francese, intende incarnare un nuovo modello capitalista dopo la crisi del 2008: una generica economica sociale di mercato, meno stato, che pero’ deve poter agire senza stati d’animo quando è azionista (si è opposto a Carlos Ghosn pdg di Renault), non è un difensore del rigore europeo. Aveva definito la Francia una “Cuba senza il sole” dopo la tassa al 75% per i redditi più alti, dell’inizio della presidenza Hollande. Ha detto di recente: “non sono socialista”, e secondo lui “non si puo’ più presentare la sinistra come un’estensione dei diritti, l’ideologia della sinistra classica non permette di pensare il reale come esso è, ci mancano gli strumenti, bisogna riconoscerlo”. Vorrebbe farla finita con le 35 ore, ha criticato la “sinistra che ha creduto di fare politica contro le imprese”. Ha invitato i giovani francesi ad “aver voglia di diventare miliardari”. In nome del liberismo promuove la circolazione degli esseri umani, che lo ha portato a difendere l’immigrazione come fonte di attività. E’ aperto al reddito di cittadinanza, dopo essere stato vicino a Michel Rocard nei pochi anni in cui ha avuto la tessera del Ps (2006-2009). Si è opposto al progetto, poi fallito, di introdurre la privazione di nazionalità per i bi-nazionali in caso di condanna per terrorismo. Ha un fondo di arroganza, che si è rivelato in una serie di gaffes: ha definito “analfabete” le operaie del macello Gad, ha opposto “la giacca e cravatta” agli operai un t-shirt, ha invitato i “poveri” a viaggiare in autobus, ha parlato di assunzione a vita “illecita” per certi dipendenti pubblici.

Per Pierre Gattaz, presidente del Medef (la Confindustria francese), è stato “un buon ministro”. Per Philippe Martinez, segretario Cgt, “non si è molto occupato dei lavoratori, salvo a insultarli”. Il Ps lo accusa di “tradimento”: per il capogruppo all’Assemblée, Bruno Le Roux, “dimissioni o no, la sola questione che conta è la lealtà al presidente”. Per Marie-Noëlle Lienemann, della sinistra Ps, le dimissioni sono “l’ammissione del fallimento della politica liberista”. Jean-Christophe Cambadelis, segretario Ps, le dimissioni sono un “kinder surprise” fatte per “convenienza personale nel momento in cui la Francia si riprende e la destra si rialza”. Nel Ps c’è chi lo definisce il “cavallo di Troia del liberismo”. Anche la destra mostra un certo imbarazzo. Se Macron sarà candidato potrà prenderle dei voti. Ma Macron non ha un partito dietro le spalle, non è mai passato attraverso la prova di un’elezione. Puo’ pero’ trovare dei soldi nell’industria e nella finanza, mondo di cui ha fatto parte. Una sua candidatura alle presidenziali potrebbe impedire le primarie del Ps, perché altri (come il suo predecessore a Bercy, Arnaud Montebourg) potrebbero decidere anche loro di correre da soli. Potrebbe cosi’ riprodursi uno scenario simile al 2002, con una moltiplicazione di candidature tra Ps, Verdi, sinistra della sinistra. Allora, Jean-Marie Le Pen è arrivato al ballottaggio.