Il pranzo (di lavoro) all’Eliseo sarà servito. L’incontro tra il premier italiano e il presidente francese è stato confermato, quando sembrava ormai destinato a un rinvio sine die, grazie a un vorticoso giro di telefonate da una capitale europea all’altra nel corso della notte tra mercoledì e giovedì. L’ultima, quella che ha sbloccato la situazione, è arrivata proprio dall’Eliseo, quando Macron ha chiamato Conte non per scusarsi, come sarebbe stato in realtà impossibile, ma per assicurare che quei due epiteti «cinici e irresponsabili», lui non li ha mai adoperati.

L’italiano ha fatto finta di crederci, i due hanno parlato di comunicato congiunto, dopo di che il francese ha bruciato l’italiano sui tempi diramando immediatamente una nota che attenua la portata delle «scuse informali». Macron, dettaglia infatti l’Eliseo «ha sottolineato di non aver pronunciato alcuna espressione volta a offendere l’Italia e il popolo italiano». Formula dalla quale è non per distrazione escluso il governo italiano. Ma tant’è. Pace fatta, embrassons-nous e via libera di Salvini: «Quel che conta è la sostanza e Conte fa bene ad andare».

Come si sia arrivati alla telefonata di Macron è meno chiaro. Di certo si è mosso il presidente della Commissione europea Juncker, che ha parlato anche col premier maltese Muscat per appianare il contenzioso tra l’Isola e la Penisola. E’ probabile, anche se non confermato, che si sia impegnata anche la diplomazia del Quirinale. Ufficialmente il ministro degli Interni non è stato coinvolto, avendo delegato al premier la gestione diplomatica dell’incidente, ma anche in questo caso è probabile che sia stato invece in qualche modo consultato.

Comunque il caso, almeno per ora, è chiuso. Oggi Conte sarà da Macron, lunedì incontrerà a Berlino Angela Merkel e nella stessa giornata potrebbe vedere anche Theresa May. Sul tavolo, in attesa della riunione del Consiglio europeo del 30 giugno, ci saranno due temi chiave, l’Unione bancaria e l’immigrazione. Ma a tenere banco sarà soprattutto quest’ultima, dato che è sull’immigrazione che la Germania rischia la crisi di governo e l’Europa, come ha detto apertamente nei giorni scorsi la cancelliera tedesca potrebbe esplodere. Conte promette di portare a Parigi «la richiesta di un’ampia solidarietà e collaborazione a livello europeo». In particolare: «Bisogna lavorare sulla riforma del regolamento di Dublino».

Quel nodo, appena pochi mesi il più aggrovigliato, sembra essere diventato ormai quasi solo uno specchietto per le allodole. A bloccare la revisione del Trattato ci penseranno i Paesi di Visegrad, cioè i principali alleati di Salvini. All’odg campeggerà una stretta drastica e complessiva contro tutti i migranti. Ci sarà di certo: il tentativo della Merkel è ormai solo quello di limitare il danno senza arrivare alla chiusura totale che invocano il suo vicepremier della Csu Seehofer, il cancelliere austriaco Kurz, Salvini e il blocco di Visegrad. Ma è quasi certo che gli assedianti di estrema destra, anche nella migliore delle ipotesi, porteranno comunque a casa un sostanzioso bottino.

Il ministro degli Interni italiano si muove già speditamente in quella direzione. Ieri, alla notizia delle ulteriori difficoltà che incontra la navigazione dell’Aquarius verso Valencia, ha risposto con una battuta di assoluta brutalità: «Non è che adesso possano anche decidere dove cominciare e dove finire la crociera». Le uscite truculente del ministro degli Interni non sono mai fini a se stesse come sembrano. La sua è la conferma della dichiarazione di guerra pronunciata nell’aula del Senato due giorni fa. «A giorni ci saranno delle novità sul ruolo delle Ong. Verranno messi i puntini sulle i», ha annunciato ieri. Poi, per fugare ogni dubbio, ha chiarito: «L’obiettivo è che non ci siano più navi battenti bandiere straniere che portano i migranti in Italia».

Ma persino quello è solo un obiettivo di medio termine. Quello finale, che proprio Salvini cercherà di avviare a partire dall’imminente viaggio in Libia, è impedire le migrazioni con la costruzione dei campi direttamente in Africa. La revisione di Dublino è un’urgenza di ieri. Quella di oggi è l’assedio della destra estrema al cuore dell’Europa