«Siete come la lebbra», dice Emmanuel Macron. «Ipocrita», risponde il vicepremier italiano Luigi Di Maio. Gli ultimi brandelli di convivenza europea si frantumano nel pomeriggio di ieri, quando il presidente francese dà voce a un sentimento che probabilmente in Europa non è il solo a provare.

Macron parla delle formazioni sovraniste sempre più numerose nel continente ma è chiaro che, pur senza nominarlo, nel mirino c’è il governo gialloverde italiano che non perde occasione per rinfacciargli la scarsa accoglienza dimostrata dalla Francia verso i migranti a Ventimiglia. Proprio mentre il ministro degli Interni Salvini dà fuoco alle polveri vietando l’ingresso nei porti italiani alla nave della ong tedesca Lifeline. «Li vedete crescere come una lebbra, un po’ ovunque in Europa, in paesi in cui credevamo fosse impossibile vederli riapparire», attacca Macron riferendosi ai sovranisti. «I nostri amici vicini dicono le cose peggiori e noi ci abituiamo. Fanno le peggiori provocazioni e nessuno si scandalizza di questo».

Parole pesanti, come finora mai un capo di Stato aveva usato per parlare di un governo europeo. E che infatti provocano la reazione di Roma. Per una volta, il primo a parlare non è il titolare del Viminale, ma Luigi Di Maio. «Le parole del presidente Macron sono offensive e fuori luogo – dice il vicepremier -. la vera lebbra è l’ipocrisia di chi respinge gli immigrati a ventimiglia e vuole farci la morale sul diritto sacrosanto di chiedere una equa ripartizione dei migranti. La solidarietà o è europea o non è».

Quando mancano solo tre giorni al mini vertice di domenica a Bruxelles e sette al Consiglio europeo del 28, l’atmosfera non potrebbe essere peggiore. E dire che per il governo la giornata comincia bene, con il premier Conte che racconta di aver ricevuto una telefonata con cui la cancelliera Merkel si era detta preoccupata della sua minaccia di disertare l’incontro di domenica promettendo di rimettere mano alle proposte dell’Ue per fermare i migranti: quote volontarie di richiedenti asilo tra gli Stati membri, campi in Nordafrica nei quali concentrare e selezionare i migranti e, soprattutto, blocco dei movimenti secondari dei profughi con conseguente restituzione ai Paesi di primo arrivo di quanti in questi anni sono spostati in Nord Europa. Poco e niente considerando e le aspettative di Roma, per di più con l’ingiunzione a riprendersi i migranti che hanno lasciato il paese. La retromarcia della cancelliera per qualche ora fa esultare palazzo Chigi, con Di Maio che rivendica come l’atteggiamento tenuto in questi giorni abbia permesso di guadagnare più rispetto in Europa. Fino alla doccia fredda di Macron e a quel «siete come la lebbra» che tanto rispettoso non sembra.

La verità è che al di là delle schermaglie con cui i gialloverdi stanno isolando sempre più l’Italia, L’Unione europea non ha il benché minimo piano sull’immigrazione. Al vertice di domenica saranno presenti anche Danimarca, Croazia e Slovenia, il che fa salire a 13 il numero dei Paesi partecipanti. per dirsi cosa, è tutto da vedere. La proposta d aprire «piattaforme regionali» in Nordafrica dove far sbarcare i migranti ormai se non è archiviata ci manca poco. A riconoscerlo implicitamente ieri è stato lo stesso commissario Ue per l’Immigrazione Dimitris Avramopoulos ricordando come sia stata discussa con Algeria, Marocco, Egitto, Libia, Tunisia, Niger e Marocco ma, ha ammesso Avramopoulos, «al momento nessuno ha manifestato disponibilità». Più chiaro è stato il primo ministro algerino Ahmed Ouyahia, assicurando che «non verranno aperti centri di permanenza per migranti africani a beneficio dell’Europa».

Anche la famosa proposta italiana che avrebbe dovuto risolvere il problema dei migranti, tanto sbandierata nei giorni scorsi da Salvini, altro non è che la scopiazzatura di vecchie proposte europee, come l’apertura di centri nei paesi di origine (impossibili da realizzare) e di transito per esaminare le richieste di asilo, rapporti più stretti con i Paesi terzi e rafforzamento delle frontiere. Insomma la solita ministra riscaldata desinata a finire nel dimenticatoio. Insieme probabilmente alle proposte annunciate ieri dal vertice dei paesi di Visegrad (Ungheria Polonia, Cechia e Slovacchia) che si è tenuto ieri a Budapest e al quale ha partecipato anche Vienna. Anche qui al parola d’ordine è stata la protezione delle frontiere europee, con l’aggiunta che anziché unirsi, i cinque Paesi si sono divisi anche loro con Vienna che, al contrario delle altre capitali, non avrebbe escluso un’apertura sulle quote di rifugiati. A rischiare grosso a questo punto è soprattutto la tenuta di Schengen, visto che senza una soluzione comune molti Paesi potrebbero decidere di ripristinare i controlli alle frontiere.