Alto tradimento. Con questa accusa – evocativa di quella mossa a Peron all’epoca della sua prima defenestrazione – da ieri sono sottoposti ad incarcerazione preventiva l’ex ministro degli esteri argentino Héctor Timerman ed altri dirigenti dell’opposizione al Presidente Mauricio Macri.

Il reale bersaglio dell’operazione, l’ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner, ha scampato l’arresto solo perché questo richiederebbe l’autorizzazione dei due terzi del Senato.
Un risultato difficile da ottenere, ma il dispositivo alimenta il clima di caccia alle streghe nel paese.

Il 18 luglio del 1994 un furgone bomba esplose nei sotterranei del mutuo soccorso israelitico di Buenos Aires (AMIA). L’attentato causò 85 vittime ed oltre 200 feriti.
Le indagini, orientate a chiarire le eventuali responsabilità nella strage del governo iraniano e di Hezbollah, non produssero mai prove certe.

Paradossalmente, fu propio Néstor Kirchner nel 2004 ad imprimere un’accelerazione al lavoro investigativo, con l’incarico esclusivo affidato al giudice Alberto Nisman.
Mentre dal punto di vista giudiziario la pista iraniana veniva approfondita, dal punto di vista politico si cercava di raggiungere una via d’uscita ad una impasse difficilmente risolvibile: da una parte l’ordinamento iraniano non consente l’estradizione per i cittadini della repubblica islamica, dall’altro quello argentino non prevede il processo in contumacia.

Fu quindi siglato un memorandum di intesa tra Timerman ed il suo omologo iraniano. Il memorandum fu ratificato dal parlamento argentino, non da quello iraniano.
Già a partire dalla fine del 2015, in un acceso clima di scontro pre-elettorale, il giudice Nisman ipotizzò che la presidenza argentina avesse operato affinché le indagini terminassero in un vicolo cieco (si era in una fase di incremento delle relazioni diplomatiche ed economiche tra i due paesi nell’ambito della politica di intese «sud-sud« promosse dai governi progressisti latinoamericani).
Prove manifeste non ne furono mai addotte, anche a causa della misteriosa morte di Nisman poco prima che potesse rendere pubbliche le sue accuse. Perfino l’Interpol smentì comunque di aver ricevuto pressioni in tal senso.

Gli eredi del giudice Nisman giustificano adesso l’accusa di alto tradimento rivolta a Cristina in base all’identificazione dell’attentato come atto di guerra all’Argentina da parte dell’Iran; e alla conseguente presunta «intendenza con il nemico» da parte dell’allora governo, reo di aver condotto «in segreto» le trattative sfociate nel memorandum, oltre che di aver espresso pubblicamente alcune posizioni eterodosse in politica estera mediorientale (tra le «prove», una dichiarazione di Cristina Fernandez all’Onu favorevole all’indipendenza della Palestina).

Nonostante la mancanza di trasparenza in alcune decisioni dei governi kirchneristi, e nonostante le ombre ancora non dissolte attorno alla morte del giudice Nisman, l’accusa di altro tradimento ha il sapore di atto politico di criminalizzazione di un’intera stagione politica.
Il copione ricalca quello adottato in Brasile, dove si è seguita la via giudiziaria alla liquidazione dell’eredità di Lula; con la differenza che in Argentina si rivolge contro membri della opposizione.

Una controrivoluzione «postuma e preventiva», in una fase in cui il macrismo è uscito sì vincitore dalle elezioni di medio termine, ma ha subito da lì in poi un rovescio via l’altro, con la repressione sanguinosa del movimento dei popoli indigeni mapuche, la gestione opaca del caso del sottomarino San Juan, l’aumento delle tariffe energetiche e la controriforma del lavoro che ha riunito all’opposizione il movimento sindacale.

Si parla molto di «fine del ciclo progressista» in America Latina.
È giusto riflettere sulle cause profonde di un indubbio cambiamento di egemonia sul subcontinente.
Ma senza dimenticare la forza con cui gli apparati repressivi dello Stato e la connivenza di istituzioni in teoria neutrali (non solo il potere giudiziario, ma anche le commissioni elettorali, come ci ricorda l’Honduras di questi giorni) nel fiancheggiare il ritorno al potere delle oligarchie di sempre.