Domenica, oltre 32 milioni di colombiani aventi diritto al voto (su una popolazione di circa 46 milioni) potranno recarsi alle urne per eleggere il nuovo presidente, che resterà in carica fino al 2018. Cinque i candidati, Clara Lopez, Enrique Peñalosa, Marta Lucia Ramirez, Oscar Ivan Zuluaga e Manuel Santos, attuale presidente che aspira alla rielezione per un secondo e ultimo mandato. Se nessuno ottiene più del 50%, i due più votati andranno al secondo turno, tre settimane dopo.
Il panorama elettorale non lascia molto spazio alle speranze di alternativa. A parte il ticket rappresentato da Clara Lopez e da Aida Abella (vicepresidenza) che corrono per il Polo democratico Alternativo (Pda) e per l’Unione patriotica e sono appoggiate dalle forze di sinistra e dai movimenti sociali, il quadro è a destra, con qualche modulazione. E, in una democrazia malata com’è quella colombiana, l’astensione giocherà probabilmente ancora il suo ruolo.

Alle presidenziali del 2010, vinte in seconda battuta dall’ex ministro della difesa di Alvaro Uribe (suo predecessore) si è astenuto oltre il 51%. Alle legislative di marzo, in cui il partito di Santos (il Partido della U) ha ottenuto la maggioranza, ma con una grossa affermazione dell’estrema destra uribista (Centro democratico), solo 14 milioni di colombiani si sono recati alle urne. E quasi un milione e mezzo di schede sono state annullate.

Secondo i sondaggi, la partita si giocherà fra Zuluaga, anch’egli ex ministro di Uribe, e Santos, probabilmente al secondo turno. E nei programmi di entrambi non c’è di certo la diminuzione delle spese militari: fra i paesi sudamericani, la Colombia è quello che investe di più in armamenti e sicurezza in rapporto al suo Pil e che per questo gode di massicci finanziamenti provenienti dagli Usa. Né l’uno né l’altro sposterebbero l’asse che fa del paese uno dei cardini dell’Alleanza del Pacifico (insieme a Cile, Perù e Messico), una zona di libero scambio che intende scalzare la concorrenza del Mercosur. Fin’ora, la Colombia neoliberista ha svolto nell’area lo stesso ruolo di gendarme che Israele svolge in Medioriente per gli Usa. Un argine al nuovo corso socialista che si sviluppa oltre la frontiera colombiana e che ha il Venezuela (grande paese petrolifero e chavista) come perno principale. Anche la Colombia è il quarto esportatore di petrolio nel continente e il primo esportatore al mondo di carbone.

Per l’Fmi è la terza economia regionale dopo Brasile e Messico, ma i governi neoliberisti non hanno speso quel «grande potenziale economico» per il benessere delle classi popolari. Contadini, operai e maestri hanno solo sospeso le agitazioni in attesa dei risultati elettorali. La Colombia è il paese con il più alto numero di sindacalisti e oppositori ammazzati dai paramilitari. Vi sono più di cinque milioni di sfollati. Si calcola che, durante i cinquant’anni di conflitto armato tra governo e guerriglie di sinistra, abbiano perso la vita più di 220.000 persone e 250.000 siano scomparse.

La possibilità di giungere a una soluzione politica è il vero elemento forte che ha attraversato una campagna elettorale condita da scandali e colpi bassi tra il candidato uribista e Santos. Quest’ultimo, infatti, pur avendo continuato a uccidere i guerriglieri con le bombe «intelligenti» di marca Usa, si presenta alle urne con la bandiera della pace. In 18 mesi di dialogo che si stanno svolgendo all’Avana con l’opposizione armata, Santos ha concluso accordi importanti su 3 punti sui cinque in agenda. Al centro, la questione dello sviluppo agrario, delle droghe illecite e dei meccanismi per una eventuale partecipazione politica, in sicurezza, della guerriglia.

Restano ancora sul tavolo la riparazione delle vittime del conflitto, eventualmente con l’istituzione di una Commissione per la verità (è la richiesta della guerriglia) e i meccanismi per rendere effettivi gli accordi di pace. Per le Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) un vero cambiamento implicherebbe l’avvio di una costituente che sancisca uno spazio reale per la partecipazione popolare. Santos vorrebbe sottoporre gli accordi a un referendum.

Le Farc – una formazione marxista che sta per compiere cinquant’anni di attività politico-militare -, hanno annunciato una tregua unilaterale dal 20 al 28 maggio: insieme alla seconda guerriglia (più guevarista), l’Esercito di liberazione nazionale (Eln). Santos ha anche incassato il sostegno della senatrice Piedad Cordoba, inabilitata per 15 anni dal suo incarico dal procuratore Ordonez, il Torquemada che spiana la strada all’ultradestra di Uribe togliendo di mezzo i suoi avversari. Con lo stesso metodo è stato messo fuori gioco il sindaco di Bogotà Gustavo Petro, che rimane sospeso ai meccanismi giuridici dei vari ricorsi. E anche Petro ha appoggiato Santos. Le destre promettono battaglia e l’interruzione dei dialoghi dell’Avana, che si stanno svolgendo con la mediazione del Venezuela. La ministra degli Esteri colombiana è peraltro coinvolta nella missione di pace della Unasur, che sta mediando a Caracas tra il governo Maduro e l’opposizione.

Come Uribe, Zuluaga ha caratterizzato la sua campagna all’insegna della lotta contro il «castro-Madurismo» e ha dato spazio allo scandalo che ha coinvolto il consulente di Santos, il venezuelano J.J. Rondon. Quest’ultimo, che cura le campagne elettorali delle destre latinoamericane, è accusato di aver intascato denaro dal narcotraffico. Nella guerra dei veleni che ha caratterizzato il clima preelettorale, è spuntato però un video che mostra Zuluaga insieme ad Andrés Sepulveda, un hacker in carcere per aver spiato illegalmente i colloqui di pace e diversi paesi progressisti.