A Skopje la protesta degli oppositori contro il governo del premier Nikola Gruevksi, accusato di corruzione e autoritarismo, prosegue e non sembra avere intenzione di fermarsi. Dopo la grande manifestazione di domenica, con decine di migliaia di persone, centomila secondo alcune fonti, gruppi di oppositori hanno trascorso la prima notte al bivacco davanti alla sede del governo, dormendo in tende e sacchi a pelo.

Nel tentativo di disinnescare la crisi politica in Macedonia, si punta tutto sull’incontro di oggi tra il primo ministro Gruevski e il leader dell’opposizione Zoran Zaev, organizzato sul terreno neutrale della Francia, con la mediazione di parlamentari europei a Strasburgo. L’atmosfera è quella della grande attesa, alimentata dal fallito round di contatti di venerdì quando, attorno al tavolo della trattativa, oltre a Gruevski e Zaev sedevano anche i due più importanti leader albanesi del paese: Ali Ahmeti, membro del gabinetto di governo, e Manduh Thaci, all’opposizione.

Sul piatto è stata messa la richiesta di dimissioni dell’esecutivo, ovviamente rifiutate dal premier. Di speranze per un accordo e un dialogo reale, parlano gli osservatori macedoni, fiduciosi che i colloqui di oggi possano far rientrare la minaccia di quello che, per l’intera regione dei Balcani, potrebbe essere un vero terremoto. Quello della crisi politica, non è l’unico vento incendiario che soffia sulla Macedonia. Perché a contribuire a esacerbare la situazione (oltre la crisi con Atene sul nome della nazione) sono anche le tensioni con la minoranza albanese, il 25% della popolazione, rappresentata da due partiti albanesi che cavalcano la protesta.

Anche per far dimenticare la tensione nell’area creata da gruppi armati albanesi provenienti dal Kosovo. Proprio a questa comunità appartengono i 14 miliziani uccisi nei giorni scorsi a Kumanovo, a 40 km da Skopje, in scontri con le forze armate costati la vita anche a otto poliziotti. e. n.