È un paradosso: la Camera dei Comuni nella discussione sul Wab (Withdrawal Agreement and Implementation Bill), che deve tradurre in legge l’accordo Ue-Gran Bretagna e stabilire le modalità del futuro negoziato di Londra con Bruxelles dopo la Brexit e alla fine del periodo di transizione, ha bocciato un emendamento lib-dem che avrebbe obbligato il governo di Boris Johnson a negoziare per permettere la continuità del programma Erasmus. Ma è proprio un inglese ad essere da sempre tra i migliori difensori dell’importanza del programma di mobilità degli studenti universitari.

ALAN SMITH, che è stato il primo direttore di Erasmus, dal 1987 al 1992, ricorda che questo programma era «all’inizio un mezzo per i cittadini di identificarsi con l’Europa». Erasmus è difatti nato con l’intenzione di rendere popolare la costruzione europea tra i suoi cittadini, a cominciare dalle nuove generazioni, favorendo gli scambi universitari e l’apprendimento delle lingue. È stato il presidente francese François Mitterrand ad aver individuato in questo programma uno strumento importante per rilanciare l’Europa, a partire da un’idea originale di una studentessa italiana, Sofia Corradi, che aveva avuto difficoltà a studiare all’estero e a convalidare gli esami. Il programma Erasmus entra in vigore nel 1987, come principale effetto del comitato ad hoc sull’Europa dei cittadini, proposto al Consiglio europeo di Fontainebleau nel 1984, poi approvato al Consiglio di Milano nel 1985.

L’EUROPEAN Action Scheme for the Mobility of University Students, contratto in Erasmus (in omaggio al grande umanista olandese vissuto tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500) è uno dei più grandi successi della costruzione comunitaria. Con pochi soldi – un anno di Erasmus costa l’equivalente di 17 giorni della Pac, la politica agricola – milioni di cittadini hanno potuto vivere un’esperienza europea che ha lasciato il segno: anche se la cifra è contestata, a Bruxelles piace ripetere che in Europa un milione di bébé è nato grazie a Erasmus, un partecipante su quattro avrebbe trovato un partner grazie agli scambi del programma. Ormai, più di trent’anni dopo, quasi 4 milioni di persone hanno partecipato al programma, si parla ormai di «generazione Erasmus», anni fa c’è stato un film di successo che ha messo in scena degli studenti Erasmus a Barcellona, L’Auberge espagnole, mentre l’Erasmus Students Network permette di mantenere i contatti. In maggioranza sono studenti universitari, ma Erasmus riguarda dal 1995 anche gli insegnanti e gli adulti interessati, non c’è limite d’età per beneficiare di programmi di scambio e di borse, che permettono di passare da 3 mesi a un anno in un’università o in stage in un altro Paese rispetto a quello di origine, senza dover pagare tasse aggiuntive e con il riconoscimento reciproco degli esami. Con Erasmus+ sono stati inclusi percorsi di studio professionali o persone senza diploma. Dal 2004 esiste Erasmus Mundus, aperto al mondo. La Gran Bretagna è tra gli 11 paesi che all’inizio, nel 1987, aderiscono a Erasmus (con Germania, Belgio, Danimarca, Spagna, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Olanda e Francia).

OGGI, OLTRE AI 28 PAESI Ue (la Gran Bretagna fa ancora parte della Ue e anche dopo la Brexit del 31 gennaio prossimo non cambierà nulla fino alla fine del periodo di transizione, cioè almeno fino a fine 2020), aderiscono al programma l’Islanda, la Norvegia, il Liechtenstein, la Turchia, la Macedonia del Nord e, dal 1919, anche la Serbia.

Ci sono «Paesi partner» all’est, dall’Armenia alla Russia e un’apertura al mondo nel suo insieme con programmi specifici. Con la Svizzera ci sono stati dei momenti problematici, dopo il referendum xenofobo «contro l’immigrazione di massa» del 2014, ma poi dei legami sono stati ricuciti anche se per un’eventuale integrazione a pieno titolo di Berna in Erasmus si dovrà aspettare probabilmente fino al 2021.
LA GRAN BRETAGNA è uno dei principali Paesi richiesti dagli studenti Erasmus (più di 30mila accolti nel 2017), che negli ultimi anni hanno messo in testa la Spagna. Sono i francesi (450mila) ad essere i più entusiasti a partire per qualche mese o un anno a studiare all’estero. All’inizio, il budget destinato all’Erasmus era di 85 milioni di Ecu (nel 1987 non c’era ancora l’euro). Nel bilancio pluriannuale 2007-13 all’Erasmus sono stati destinati 3,1 miliardi di euro. Per il periodo 2014-2020, la Commissione avrebbe voluto arrivare a 19 miliardi, per poter anche aumentare le borse, che in media restano basse.

Ma i Paesi membri hanno tagliato i finanziamenti a 14,7 miliardi, pari all’incirca all’1,5% del budget Ue. Per il periodo 2021-27, il Parlamento europeo ha proposto di triplicare il finanziamento. Il relatore, Milan Zver (Ppe) ha affermato: «Il nostro obiettivo è di rendere il programma Erasmus+ più accessibile, più inclusivo e più equo per tutti i gruppi di giovani e di adulti, qualunque sia la loro situazione economica. Erasmus+ non permette soltanto di studiare e di acquisire una formazione all’estero, ma contribuisce anche a rafforzare l’identità europea e ad aumentare le opportunità di occupazione. Il programma offre ai partecipanti un sapere e delle competenze che arricchiranno la loro vita professionale e personale. Penso che investire in Erasmus significhi investire nell’avvenire della Ue».