Comunque vada domenica 4 marzo, Renzi non farà un passo indietro anzi resterà almeno fino a scadenza naturale del suo mandato: «Resterò segretario fino al 2021, sono le primarie a decidere il segretario del Pd», ha detto il segretario del Pd ieri mattina a Omnibus (La7). Nelle ore della vigilia, e nella giornata della chiusura della campagna elettorale, dal Pd non vola una mosca a commento delle dichiarazioni del segretario. Ma l’avviso ai naviganti dem è chiaro: sistemarsi ai blocchi per «la corsa alla dichiarazione del 5 marzo» – la definizione è di un dirigente Pd – è tempo perso.

AL NAZARENO l’asticella oltre la quale si potrebbe persino parlare di «successo» è il 25 per cento, ovvero la «quota Bersani 2013». Tanto più dopo una scissione.

In ogni caso, qualsiasi risultato avrà il Pd, i numeri degli organismi interni sono tutti a schiacciante maggioranza a favore di Renzi. E così sarà anche nei futuri gruppi parlamentari grazie alle liste ’ripulite’ (quasi del tutto) dai non allineati. Anche se il risultato del 4 marzo dovesse essere negativo come alcuni di quelli che si leggono nei sondaggi degli ultimi giorni e che per legge non possono essere riferiti. Anzi a maggior ragione se il risultato dovesse esserlo.

RENZI ANNUNCIA quindi che non si muoverà. Eppure qualcosa dovrà cambiare. È anche presto. È quello di cui si ragionava ieri proprio nella Firenze dove il segretario ha concluso la sua campagna elettorale. Perché in primavera, e cioè domani, si celebrerà una nuova tornata di amministrative. Ottocento comuni medio-piccoli, sulla carta una tornata ’minore’. Ma neanche tanto: si vota in un capoluogo di regione, Ancona, e in diciannove capoluoghi di provincia. Fra cui però tre città toscane: Massa, Pisa e Siena. Nel Pd toscano è già allarme rosso. La sequenza delle città perse nella regione un tempo monocolore sono tante, un elenco sconfortante: a Livorno e Carrara oggi governano i 5 stelle, a Arezzo, Grosseto e Pistoia la destra.

SE IL PD NON SCEGLIERÀ la strategia delle alleanze anche le prossime tre città al voto sarebbero a rischio. «Significherebbe che la Toscana rossa si ritira nella roccaforte di Firenze», spiega un dirigente locale, «e che il Pd tosco-emiliano, l’ultima certezza del partito di Renzi, resterebbe esclusivamente emiliano». Un’altra sconfitta ’storica’ la cui responsabilità ricadrebbe, ancora una volta, sulle spalle di Renzi. E dopo un eventuale ’uno-due’ di questa entità (débâcle alle politiche e poi alle amministrative in sequenza rapida), sarà possibile ripetere ancora una volta «resterò segretario fino al 2021»?

IL RAGIONAMENTO CIRCOLA fra i dirigenti locali, e non solo della minoranza. Ma è simile a quello del presidente della Toscana Enrico Rossi, uscito dal Pd prima dell’ultimo congresso, a cui era anche candidato, e fondatore di Mdp. La regione tornerà al voto nel 2020. E anche qui varrà lo stesso discorso delle amministrative di primavera. «Non abbiamo mai perso un numero così alto di città qui da noi. Il genio che doveva portarci alla vittoria invece ha prodotto un sequenza di sconfitte impressionanti», si sfoga. «Ora però bisogna cambiare marcia. Noi di Leu subito dopo il voto dobbiamo lanciare il partito della sinistra per dare un approdo ai delusi del Pd e alla sinistra che sta a casa. E poi aprire un dialogo per costruire un’alleanza sociale e democratica e riunire le forze del centrosinistra». Per farlo però «ci vuole un Pd che fa apertamente la scelta di allearsi con noi».

BASTEREBBE per fermare l’emorragia di voti? «No. Tutto il centrosinistra deve riaprire il dialogo con la società toscana, i suoi corpi intermedi. Il Pd da cui mi sono allontanato si è avvitato nel governo e nel comando, e tutto questo ormai non funziona più neanche in una regione come la Toscana. Se non faremo così siamo destinati a perdere, anche qui».