Alla fine la partecipazione è stata straordinaria, una marea umana che ha portato gli organizzatori a dire «siamo oltre 250mila persone». Quando la testa del corteo entrava in piazza Duomo la coda era ancora ferma in porta Venezia. Il percorso era quello classico del 25 Aprile milanese e anche la composizione lo ricordava, con tutte le sigle della sinistra e dell’associazionismo e quelle migliaia di volti che ogni anno nel giorno dell’anniversario della Liberazione si sentono parte di una storia comune. Ieri quella storia ha sfilato richiamata da uno slogan semplice e profondo: «Prima le persone». Parole lontane da quel “prima gli italiani” che fa gonfiare i consensi del ministro dell’interno Salvini.
LA PRIMA COSA che ha sorpreso tutti ieri è stato il dato numerico, la quantità di persone in cammino. C’erano i volontari delle associazioni, gli attivisti antirazzisti, i militanti dei partiti, i sindacalisti delle più varie categorie, il mondo della scuola, qualche sindaco con la fascia tricolore, le comunità straniere e migliaia di semplici cittadini. Lo spezzone del Pd era aperto da due dei tre candidati alle primarie, Zingaretti e Martina, ma non c’erano bandiere del partito per timore di contestazioni. È stato il governo Gentiloni con il ministro dell’interno Minniti ha stringere gli accordi che bloccano migliaia di migranti nei lager libici e in tanti, riuniti nella rete No Cpr, lo hanno ricordato anche ieri.
«Qualcuno arriverà» diceva con fiducia una ragazza dietro al camion più rumoroso del corteo, quello da cui Tommy Kuti e altri giovani rapper come lui si sono alternati al microfono in una sorta di freestyle di tre ore. Qualcun altro più grandicello questa figura di sintesi la vede nel sindaco di Milano Giuseppe Sala che ieri ha parlato di una giornata «spartiacque per la società». La domanda che tutti si fanno però è «cosa accadrà da domani? Come e dove convogliare queste energie». «Non lasciate la politica solo ai politici» ha detto Sala «da Milano può ripartire un’idea diversa dell’Italia» e torna come un mantra il mito dell’anomalia Milano, già sentito il 20 maggio 2017 quando in 100mila sfilarono dietro alla sigla “Insieme Senza Muri” per una città aperta, inclusiva e accogliente. Fu un corteo coraggioso ma non in sintonia con il resto del Paese che stava invece andando verso la chiusura incarnata da Lega e 5 Stelle.
Dietro ad una barca a pedali dell’associazione Mediterranea c’erano anche alcune delle Ong che fanno salvataggi in mare. «Prima le persone credo sia evocativo di quello che dovrebbe essere il senso della politica: protezione delle persone non del potere» ci dice la portavoce italiana della Ong Sea Watch Giorgia Linardi. «A noi Ong ci dicono spesso che stiamo facendo politica, perché manca un’opposizione forte in questo paese e siamo diventati un simbolo. Ma se lo siamo, possiamo essere un simbolo di resistenza e responsabilità, non altro. Speriamo che la sinistra possa riorganizzarsi e ritornare se stessa, anche perché ha grosse responsabilità rispetto alla situazione in cui ci troviamo».