Sinistre in crisi? Syriza è diventata un po’ sconveniente dopo che ha applicato l’austerità e Podemos non è più sulla cresta dell’onda? Niente paura, l’Espresso ci propone la soluzione: il Portogallo di Antonio Costa!

Il trionfale articolo firmato da Stefano Vergine intitolato «Portogallo, così governa una buona sinistra» pare scritto per consolare benevolmente coloro che pensano che sia necessario uscire dall’eurozona o addirittura dal capitalismo. No, anche rimanendo in essi si può fare un ottimo lavoro per le classi subordinate. Anche Il Post sostiene che possa essere, pragmaticamente un modello che concilia cose difficili: tenere i conti in ordine – come vuole la Troika – e favorire i lavoratori; socialismo senza rivoluzione? Leader politici come Hamon e Pittella si sono fiondati sul paese iberico per capire come ottenere la quadratura del cerchio (anche Il foglio e la Stampa magnificavano la nuova linea, l’attrazione dev’essere stata irresistibile).

Ovviamente pochi si illudono che un modello che funziona per un paese di 10 milioni di abitanti possa essere semplicemente trapiantato in uno di 50 o 80, con tutta la diversità che esso comporta. Certo se funziona varrebbe la pena pensarci. Ma funziona davvero?

A leggere l’Espresso si rimane un po’ delusi: a fronte di una attenuazione delle misure di austerità, si scrive a chiare lettere che la crescita (buona, un invidiabile +2,4% Pil) è trainata dai turisti in fuga dalle bombe in altre località e dall’export che usufruisce di salari bassi che rendono il paese competitivo. Inoltre si fa rilevare che contribuisce la congiuntura internazionale favorevole e i massicci investimenti di aziende straniere. L’autore li considera davvero tanto positivi?

Approfondendo qualche dato troviamo luci e ombre: la quota salari (dati Ilo) rimane piuttosto bassa; era 58,7% del Pil nel 2006, nel 2009 57,6%, nel 2010 56,5% nel 2011 55,5%, nel 2012 54%, nel 2013 53,7%, nel 2014 52,7%, nel 2015 51,6%, nel 2016 52%, nel 2017 52,3%. Una ripresa piuttosto fiacca in un trend discendente? O è l’inizio di un trend favorevole?

A giudicare da altri dati non pare che sia uno scenario ottimistico: secondo il database Oecd il numero medio di ore lavorate per lavoratore è il più basso dal 2000 (1842 nel 2016, 1869 nel ’15, 1867 nel ’14, 1859 nel ’13, 1849 nel ’12, ecc.) mentre il tasso di disoccupazione è migliorato di 2,7 punti (dati Fmi)dal 2015. Lavora più gente ma con meno ore. Infatti secondo Eurostat la percentuale di lavoro precario è in crescita: 16,6% nel 2012, 17,3% nel 2013, 17,6% nel 2014, 18,3% nel 2015, 18,6% nel 2016.

Prima di nominare il nuovo governo il presidente della Repubblica aveva chiesto ampie assicurazioni che l’esecutivo non avrebbe messo a rischio gli impegni internazionali (Ue, principalmente): niente sforamento del bilancio, pagamenti del debito pubblico, nessuna rescissione della Nato. L’indebitamento dello Stato rimane alto, sui livelli dell’Italia, ma l’esecutivo è determinato a combatterlo; non come la Ue vorrebbe in verità, infatti nel country-report di un anno fa (22 febbraio 2017) si dice che «vi sono stati alcuni progressi nella revisione della spesa, che adesso è soggetta a migliori controlli e a un contenimento con il lancio di una spending review in alcuni settori. Qualche progresso è stato attuato assicurando la sostenibilità a lungo termine della spesa sanitaria. Ci sono stati limitati progressi verso la riduzione dei trasferimenti di bilancio del sistema pensionistico»; e come nota una analisi della Farnesina sul paese, «il debito pubblico, dopo aver raggiunto la soglia di 130,6% del Pil nel 2014, dovrebbe ridursi nel 2017 al 127,7% e, restando l’impegno del Governo portoghese concentrato sul contenimento della spesa pubblica, si stima il raggiungimento dell’obiettivo del 120% nel 2021». Ricorda tanto alcune nostre politiche. Ma son ricordi brutti.