L’inchiesta che vede l’Ilva e i suoi massimi dirigenti accusati di disastro ambientale, è prossima ad una svolta importante. Entro il 26 luglio infatti, dovranno essere concluse le indagini preliminari con i relativi avvisi agli indagati: dopo di che la Procura valuterà ogni caso singolarmente, per decidere su quali indagati avanzare la richiesta di rinvio a giudizio.

Quando si aprirà il processo, agli atti ci saranno soltanto i documenti ufficiali che sono stati presentati nell’ambito dell’incidente probatorio, che si svolse in due fasi tra il febbraio e il marzo dello scorso anno. Punto di forza del gip di Taranto e del pool della Procura, le perizie redatte dagli esperti chimici ed epidemiologi. Quest’ultimi, nella loro relazione, scrissero che in 13 anni (dal 1998 al 2010) a Taranto si sono registrati 386 decessi a causa delle emissioni industriali. Negli ultimi sette anni 174 soltanto a causa del Pm10. Novantuno abitavano i quartieri Borgo e Tamburi, quelli più vicini allo stabilimento siderurgico insieme al rione Paolo VI. In questo quartiere è stato riscontrato un più 27% di mortalità rispetto alle stime effettuate sui dati messi a disposizione dell’Organizzazione mondiale della Sanità con un incremento nella popolazione maschile del 42% per i tumori maligni e del 64% per le malattie dell’apparato respiratorio. Al rione Tamburi invece, si ammalano particolarmente le donne (+46%) di malattie ischemiche del cuore e +24% di malattie cardiache.

Ma i più colpiti, ovviamente, risultarono essere gli operai Ilva: 98 le morti da inquinamento in 10 anni. Gli operai che hanno lavorato negli anni ‘70-‘90 hanno mostrato, si legge nella relazione, «un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%) in particolare per tumore dello stomaco (+107%), della pleura (+71%), della prostata (+50%) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e quelle cardiache (+14%)». Ad essere colpiti però non sono stati soltanto gli operai, ma anche gli amministrativi. «I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+153%) e dell’encefalo (+111%)». «Ci troviamo di fronte – scrivono i periti nelle conclusioni della loro relazione – a un effetto statisticamente significativo per i ricoveri ospedalieri per cause respiratorie e un effetto al limite della significatività statistica per i tumori in età pediatrica».

La relazione in questione fu redatta da tre epidemiologi di fama mondiale, come i professori Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere, che la consegnarono nel marzo 2012 al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco. Poco prima, nel mese di gennaio, era stata invece depositata una perizia chimica che stabiliva che gran parte dell’inquinamento presente a Taranto fosse riconducibile all’attività dell’Ilva.

La relazione dei periti epidemiologi, trovò poi conferma nell’aggiornamento (al 2009) dello studio Sentieri, redatto dall’Istituto superiore della Sanità e promosso dal ministero della Salute, presentato a Taranto dall’ex ministro Renato Balduzzi lo scorso ottobre. Secondo i dati ufficiali del ministero, a Taranto si registra un eccesso di mortalità per tutte le cause del 14% per gli uomini e dell’8 per le donne. Lo studio accertava che a Taranto, entro il primo anno di vita, muore il 20% di bambini in più rispetto al resto della Puglia. Una percentuale che tocca punte del 40% se consideriamo la fase prenatale. La correlazione tra inquinamento ambientale e insorgenza delle patologie non lasciava alcun dubbio.

Durante la presentazione dello studio infatti, i responsabili del ministero della Salute affermarono che «l’analisi degli studi dei dati precedenti e anche la stessa letteratura scientifica sugli agenti inquinanti presenti nell’aria determina una forte suggestione che ci porta ad evidenziare nella componente ambientale la causa principale di questi eccessi di mortalità». E portarono l’allora ministro Balduzzi ad affermare che «i dati in nostro possesso per gli anni successivi tendono a non scendere». Altro che sigarette ed alcool.