Sull’Italicum «c’è una riflessione da fare». All’indomani della vittoria del Movimento 5 Stelle nei ballottaggi, la scoperta di Piero Fassino – personalmente colpito – è la stessa di molti renziani che fin qui avevano condiviso senza tentennamenti le riforme governative. L’idea che Matteo Renzi abbia messo in piedi un sistema perfetto – sistema elettorale ultra maggioritario e controllo del governo sul parlamento – per consegnarlo però ad altri, adesso circola e preoccupa. Se una sola camera politica, con una maggioranza blindata, scelta da una minoranza di elettori e nelle mani del capo del governo spaventava già gli avversari dell’Italicum e della riforma costituzionale, la prospettiva di 340 e più deputati contrattualmente vincolati con la Casaleggio associati non tranquillizza. La vecchia richiesta della minoranza Pd e del resto degli alleati centristi, alla quale Renzi continua a rispondere di no, è quella di correre ai ripari riportando il premio dell’Italicum alle coalizioni. Perché i grillini, com’è noto, non si coalizzano.

Eppure resta improbabile che il presidente del Consiglio possa lanciarsi anzitempo in una simile conversione a U: non solo la nuova legge elettorale non è stata mai utilizzata, ma ancora per una settimana non è neanche pienamente in vigore. Il leghista Calderoli ieri ha ipotizzato che Renzi «non potendo contraddire le posizioni già aggiunte e non potendo dar ragione alla propria opposizione interna o agli alleati, lascerà fare il lavoro sporco alla Corte costituzionale». Il riferimento è al fatto che la Consulta il prossimo 4 ottobre dovrà pronunciarsi sul primo (e unico, fino a qui) ricorso contro la legge elettorale arrivato da un tribunale civile (quello di Messina). I giudici sospettano l’incostituzionalità della nuova legge elettorale in sei punti, nessuno dei quali però ha direttamente a che vedere con la richiesta di modifica avanzata dalla minoranza Pd. Non è in discussione il premio alla lista, ma l’enormità del premio di maggioranza, che il meccanismo del ballottaggio finisce col rendere astratto da qualsiasi soglia minima di voti. La Corte costituzionale dovrà giudicare anche sui capolista bloccati, sulla convivenza di premio di maggioranza e sbarramento, sulla ripartizione nazionale dei seggi e sul fatto che l’Italicum si applichi solo alla camera, quando il senato elettivo non è ancora stato abolito. Ci sono dentro i temi dei due referendum abrogativi della legge elettorale per i quali si stanno raccogliendo le firme, cioè quelli che producono la distorsione tra il voto popolare e la sua rappresentanza nelle assemblee (è successo anche nei comuni assegnati con i ballottaggi), ma non c’è la questione del premio alla lista che spaventa e muove la minoranza Pd. In ogni caso, se si chiede a chi ha promosso la battaglia contro l’Italicum quante speranze ci sono che la Consulta possa accogliere il ricorso di Messina, la risposta è «poche». Sei giudici costituzionali su quindici sono diversi da quelli che nel 2014 condannarono il Porcellum.

Per cambiare l’Italicum resterebbe aperta, in teoria, solo la via parlamentare. Complicata dal fatto che i 5 Stelle, che si trovano ora una legge elettorale su misura per loro, farebbero le barricate. «Non siamo disponibili a parlare di questo», diceva ieri il deputato grillino Toninelli. Ma in passato i 5 stelle sono stati anche più espliciti, arrivando a proporre un ordine del giorno che voleva impegnare il governo a non toccare una virgola dell’Italicum. Quanto alla campagna di raccolta firme per i referendum contro la legge, i grillini hanno ufficialmente aderito. Ma assai in ritardo. Solo nelle ultime settimane i loro banchetti si sono fatti notare nelle città, e la campagna si sta ormai per concludere.