Rapporto Inps con qualche sorpresa, quest’anno. Se, purtroppo, era cosa già nota che almeno la metà dei pensionati italiani viaggia sotto i mille euro al mese (il dato è confermato), dall’altro lato è la prima volta da anni che l’istituto chiude il suo bilancio in passivo. Ben 9 miliardi di rosso, ma è tutto da imputare alla recente fusione dell’Inps (tuttora in forte attivo) con l’Inpdap, istituto di previdenza dei dipendenti pubblici. È nato così il Super-Inps.

Il dato, secondo Roberto Pizzuti, curatore del «Rapporto sullo stato sociale» dell’Università La Sapienza, non deve preoccupare, e anzi anche i numeri di quest’anno, a suo parere, spingono verso la necessità di migliorare le prestazioni, soprattutto verso due categorie neglette: gli esodati e i cosiddetti «giovani» (in realtà i lavoratori dai 30 ai 45-50 anni che hanno già dai dieci ai venti anni di contratti precari alle spalle). D’altronde, anche per il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua «il rosso non mette a rischio il sistema», come per il ministro del Welfare, Enrico Giovannini, secondo cui con la «riforma il sistema è sostenibile sul lungo termine» (intende la Fornero, ndr).

Ma torniamo quindi a quello che potrebbe e dovrebbe darci l’Inps: «Il rosso è solo contabile, dovuto alla fusione con l’Inpdap, che era fortemente in rosso – spiega Pizzuti – In realtà l’Inps genera ogni anno un attivo, risultante dal saldo tra i contributi incassati e le prestazioni erogate, pari all’1,5% del Pil. Quest’anno circa 24 miliardi. Una vera e propria manovra, di cui beneficia lo Stato: e, a questo punto, si dovrebbe restituire almeno qualcosa ai contribuenti».

Come detto, l’urgenza primaria viene individuata negli esodati: «Secondo l’Inps sono 330 mila persone, di cui finora si sono messe in sicurezza solo 130 mila – spiega Pizzuti – Bisogna garantire anche agli altri un presente e un futuro sereno». Ci sono poi i precari: «Bisognerebbe coprire figurativamente tutti i periodi in cui non hanno potuto versare i contributi, come si fa con i disoccupati. Così da assicurare a chi avrà 40 anni di anzianità lavorativa e l’età per pensionarsi, un assegno di almeno 900 euro al mese, che potrà crescere se si è effettivamente versato di più del profilo medio». Il professore parla non a caso di «anzianità lavorativa», cioè di presenza sul mercato del lavoro, perché per questi lavoratori è di fatto impossibile accumulare 40 anni di contributi continuativi.

Ed ecco, infine, alcuni dati più dettagliati sulla notizia data all’inizio: il 14% dei pensionati (2,2 milioni) riceve una o più prestazioni per un importo inferiore ai 500 euro mensili, mentre il 31% (4,9 milioni) percepisce assegni compresi tra 500 e 1.000 euro. Un ulteriore 25% (3,9 milioni) prende pensioni comprese tra 1.000 e 1.500 euro mensili e il restante 30% (4,7 milioni) assegni superiori a 1.500 euro.