L’Unione europea è sempre più lontana dai valori di democrazia, solidarietà e giustizia. Il cinismo e l’egoismo sembrano caratterizzare le azioni promosse dai governi e dalle istituzioni europee.
Alla tragedia che si sta compiendo sotto i nostri occhi, i governi rispondono con nuove misure di chiusura e mettendo in campo un apparato internazionale di guerra sempre più esplicito e ampio.
Alla frontiera tra Turchia e Siria decine di migliaia di persone si affollano in cerca di salvezza dalle bombe russe e dall’accerchiamento del dittatore Bashar Al Assad.

L’Europa, Angela Merkel in testa, chiede a Erdogan di fermarle e di farsi carico di quelle che riescono a passare. La Turchia ospita già 2,5 milioni di profughi, dovrebbe prenderne altri e fare da cane da guardia dell’Ue in cambio dei tre miliardi d’euro promessi. Nessun cenno alla questione kurda in questa trattativa, ai diritti umani calpestati in Turchia, tanto meno alla responsabilità di dare una risposta alle persone, e sono la quasi totalità, in fuga da morte certa. Intanto la Turchia usa l’esercito per bloccare i profughi e respingerli verso le zone di guerra.
Nel mar Egeo ogni giorno muoiono decine di persone. Più di 400 dall’inizio dell’anno. L’Ue chiede alla Grecia di respingerne di più e di fermarne di più entro i propri confini. Minaccia il governo greco di estromissione dallo spazio di libera circolazione se non riesce a fermare i flussi di profughi verso il nord Europa. Il secondo ricatto che il governo greco subisce, dopo quello recente, e non ancora concluso, delle politiche di austerità. Ai greci si chiede di pattugliare l’Egeo facendo quello che i razzisti di casa nostra propongono da anni: respingere le persone in mare per dissuaderle dal partire. Decide di entrare in campo la Nato, tra gli applausi del governo italiano, per dare man forte a quella che è oramai una guerra contro i profughi.

All’Italia, come alla Grecia, viene chiesto di accelerare l’apertura degli hot spot, sempre con l’obiettivo di impedire ai profughi sopravvissuti di arrivare nelle nostre città. Il discriminatorio sistema hot spot costruito intorno all’ipotesi di una politica di rimpatrio forzato di massa. Così l’Europa continua a chiedere ai due paesi di aumentare il numero dei rimpatri: i decreti vengono notificati e le persone lasciate per strada.

Aumentano i costi, per gli enti locali, di un’accoglienza negata e non integrata, aumenta il lavoro della magistratura che deve farsi carico di tutti i ricorsi per il negato accesso alla procedura d’asilo.

La Commissione europea risponde a queste violazioni del diritto avviando un dialogo con la maggior parte dei Paesi dai quali provengono i richiedenti asilo che raggiungono le nostre coste: si sta lavorando ad accordi con Gambia, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Pakistan e Afghanistan. La risposta ancora una volta va nella direzione sbagliata, irresponsabile e criminale: permettere i rimpatri forzati nei Paesi da cui le persone fuggono, quasi sempre retti da dittature. La strategia: provare a fermarli lontano dai nostri confini, con ogni mezzo, soprattutto con l’esercito.

Se riescono comunque a passare, provare a fermarli ai confini dell’Ue. Respingerli indietro con strumenti di guerra: le navi di Frontex e i mezzi della Nato. Quelli rimasti, decimarli con il sistema degli hot spot e provare a rimandarli in uno dei paesi cosiddetti “sicuri”, inseriti in una lista che i governi europei stanno cercando di rendere operativa.

Eppure i 400 morti del 2016, 10 al giorno, vanno attribuiti alla diretta responsabilità dei governi europei, che continuano a pianificare azioni volte solo a impedire ai profughi di mettersi in salvo.

L’Europa della solidarietà e dei diritti deve scendere in piazza. Di fronte a questo scempio non possiamo più stare a guardare.

* vicepresidente nazionale Arci