La gente che passava si fermava, e guardava i due operai con l’imbracatura mentre srotolavano e fissavano dall’alto in basso il mega manifesto in plastica. Oltre ai passanti, alcuni fotoreporter che immortalavano la scena. Il poster rettangolare copriva l’intero muro di un palazzo a quattro piani. Nella parte sinistra, la foto di due gay con la bandiera arcobaleno e la scritta: «Vogliono educare così i tuoi figli», «Fermali». Nella parte destra, su sfondo nero, un messaggio chiaro e inequivocabile: «Gli educatori sessuali vogliono insegnare la masturbazione all’asilo, l’uso dei preservativi ai bambini di 6 anni e promuovono l’omosessualità. Il governo collabora con gli educatori sessuali». Manifesti come questo sono comparsi lo scorso fine settimana in tutte le grandi città polacche, il primo step di una “campagna di informazione” ideata dalla fondazione «Pro-prawo do zycia» (pro-diritto alla vita) che, tra le altre cose, si è resa promotrice di una raccolta firme (250 mila) per emendare il codice penale e dare due anni di carcere a chi promuove «comportamenti sessuali immorali» ai bambini.
C’è uno scontro in atto in Polonia tra gli ultracattolici (appoggiati dalla Chiesa) e lo stato laico. Uno scontro che dura da anni, ma che nelle ultime settimane è aumentato di intensità. A dare fuoco alle polveri, la storia del prof. Bogdan Chazan, direttore dell’ospedale “Sacra Famiglia” di Varsavia – uno dei tanti ospedali pubblici della capitale – allontanato dalla struttura (licenziato) per «gravi irregolarità amministrative» due settimane addietro. Nel mese di aprile una donna aveva chiesto il ricorso all’aborto terapeutico perché al feto era stata diagnosticata una grave malformazione al cervello. Chazan si è rifiutato, scrivendo una lettera in cui diceva che in quanto cattolico era anche obiettore di coscienza. Alla donna era stato consigliato di affidarsi ad un altro ospedale per le cure palliative al bambino dopo la nascita.

La legge polacca – tra le più restrittive al mondo – permette l’aborto entro le 12 settimane di gravidanza in caso di stupro o di incesto (provato dal magistrato) ed entro le 24 settimane in caso di grave malformazione del feto o pericolo di vita per la mamma. L’obiezione di coscienza da parte dei medici è prevista per legge, ma è altresì prevista l’obbligatorietà di indicare alla paziente un’altra struttura dove non ci siano obiettori.

Ciò è stato fatto, la donna era stata affidata ad un’altra struttura ospedaliera ma 5 giorni dopo il limite delle 24 settimane stabilite per legge. La gravidanza è stata portata a termine ed il 30 giugno è nato il bambino. Una decina di giorni dopo è morto per le gravi malformazioni diagnosticate mesi prima.
«Un dottore si può rifiutare di praticare l’aborto per motivi di coscienza – ha detto il portavoce del sindaco di Varsavia, Bartosz Milczarczyk – ma un ospedale pubblico no». Un presa di posizione chiara e netta quella della prima cittadina della capitale, Hanna Gronkiewicz Waltz, che ha provocato la reazione del cardinale-arcivescovo Kazimierz Nycz: «I politici non possono obbligare i dottori ad andare contro le loro coscienze. E’ un precedente pericoloso perché viola i diritti non solo dei cattolici, ma di tutte le persone». Chazan è uno di quei 3.000 dottori e studenti di medicina che hanno firmato di recente una “dichiarazione pubblica” in cui si afferma che – secondo gli insegnamenti cattolici – la vita umana è sacra fin dal momento del concepimento. L’ex (oramai) direttore dell’ospedale “Sacra Famiglia” di Varsavia è diventato l’eroe degli ultracattolici, il difensore di quei valori tradizionali che stanno erodendosi sotto i colpi martellanti del secolarismo. Tuttavia, la gran parte dell’opinione pubblica polacca appoggia la decisione del sindaco di Varsavia.

>In un sondaggio esce fuori il pensiero dei cittadini della Capitale: il primo obbligo che hanno i medici è quello verso i pazienti e non verso i dettami della Chiesa cattolica. I rapporti di forza sembrano mutati. Sulle questioni etiche come l’aborto, la fecondazione in vitro e le unioni civili, la maggioranza dei polacchi vede con occhio critico l’ingerenza della chiesa cattolica in politica e i politici ne stanno prendendo atto. A sottolinearlo è Wanda Nowicka, vicepresidente del Parlamento, avvocato e da sempre in prima linea con le associazioni femministe: «Non è la prima volta in Polonia che viene negato il diritto legale all’aborto ad una donna, ma stavolta lo stato non ha deciso di chiudere gli occhi e girarsi dall’altra parte, bensì ha fatto quello che doveva fare, garantire che le leggi vengano rispettate e i diritti delle persone salvaguardati».

Nel frattempo, il legale della donna a cui è stato negato il diritto dell’aborto ha chiesto i danni all’ospedale. Una storia che ricorda da vicino quella di Alicja Tysiac, alla quale era stato impedito di abortire pur sapendo che portare avanti la gravidanza l’avrebbe resa cieca. Il caso è finito alla Corte europea per i diritti dell’uomo, che ha condannato la Polonia ad un risarcimento esemplare.