Il segnale di Draghi è arrivato, più forte e più chiaro del previsto. Il rischio maggiore per la sopravvivenza della legislatura non proviene dalla sua eventuale elezione a capo dello Stato ma da una guerra tra le anime della maggioranza che provocherebbe lacerazioni non recuperabili. Messaggio con molti destinatari ma con due sopra tutti gli altri: Berlusconi e Salvini. L’ostacolo sono loro. Il pollice verso è il loro.

LA CARTA CALATA dal premier non basta a chiudere la partita. Il primo no che risuona è quello della Lega, attribuito alle classiche e anonime fonti. Arriva alla velocità della luce: «C’è preoccupazione per eventuali cambiamenti che potrebbero creare instabilità». Diplomatico ma chiaro. A Salvini non basta. In serata alza la posta e stavolta con tanto di firma: «Draghi deve assolutamente restare a palazzo Chigi. Ha ben lavorato, deve andare avanti. Ogni incognita è un rischio e la stabilità è un valore aggiunto specie in tempi difficili». Fi non si fa attendere. Si augura che «l’azione del governo possa proseguire con la necessaria continuità». Berlusconi, a differenza di Salvini, non si espone con la stampa. Ma in collegamento telefonico con gli eurodeputati non la manda a dire e certo non pensava che le sue parole potessero restare segrete: «Draghi deve restare a palazzo Chigi. Abbiamo fatto nascere noi questo governo. Adesso vada avanti senza scossoni». Se non sono due macigni insormontabili non sono neppure difficoltà trascurabili.

BERLUSCONI E SALVINI ritengono di poter condizionare Giorgia Meloni, che è invece favorevole a Draghi, in nome del vincolo di coalizione e della minaccia di appoggiare una riforma elettorale proporzionalista. Sanno che il Pd è ormai deciso a spingere per Draghi, e lo conferma la nota, anch’essa anonima, con la quale il Nazareno concorda con il premier sulla necessità di far proseguire la legislatura, senza nominare il governo. Ma sanno anche che nelle file del M5S e di LeU gli umori sono ben diversi. Le «fonti», qui, non sono tassative come nel caso degli azzurri e dei leghisti ma chiamarle tiepide nei confronti dell’opzione Super Mario è ancora poco. I 5S ritengono «necessaria una continuità dell’azione di governo». LeU teme «una fase di incertezza istituzionale» che potrebbe «alterare gli attuali delicati equilibri di maggioranza e governo». Potenzialmente, con l’esclusione del Pd e in parte di FdI, un fronte variegato, spinto da motivazioni diverse e con diversa determinazione, reagisce al passo avanti del premier cercando di costruire il muro adatto a fermarlo. Per Berlusconi la posta in gioco è se stesso: se in campo c’è nonno Mario non può esserci il bisnonno (da ieri) Silvio. Per Salvini la partita è più complessa: si tratta di non darla vinta ai nemici interni ed esterni, tutti «draghisti»: a Giorgetti, a Giorgetta, a Letta. Ma si tratta anche di evitare le elezioni anticipate, preoccupazione invece secondaria per un Berlusconi che ormai sulle sorti del suo partito investe ben poco. I 5S e LeU hanno un problema inconfessabile: l’ostilità per un premier che hanno subìto più che accettato e al quale non hanno perdonato la defenestrazione di Conte. Ma le elezioni le temono quanto Salvini, forse anche di più, e il peso contrattuale nei confronti del Pd è limitato. La galassia centrista, anch’essa ben poco incline a incoronare Marione, vuole e deve dimostrare la propria indispensabilità: un presidente eletto subito e da tutti non è il modo migliore per riuscirci. Ma anche per loro le urne aperte subito sono un incubo.

QUESTO FRONTE senza cemento e al momento senza possibilità di coagularsi se non nell’opposizione a Draghi dovrà dunque trovare entro un mese un nome alternativo sul quale convogliare almeno l’intera maggioranza. Missione già molto ardua, resa più o meno proibitiva dall’ingombrante presenza di Berlusconi, deciso a puntare su se stesso a ogni costo. Se non ce la faranno dovranno scegliere tra la resa o una scommessa in cui la posta in gioco sarà la loro stessa testa. Perché nella situazione data imbarcarsi in una guerra all’ultimo voto pensando di poter poi se del caso ricucire, dopo una decina e passa di votazioni andate a vuoto, significa davvero sfidare la sorte.