Karol Tarnowski, rispettato filosofo polacco, è stato uno dei grandi amici di Karol Wojtyla. Lo ha frequentato a lungo e avendo imparato a conoscerne pensiero e carattere, ha confessato in una recente intervista a Gazeta Wyborcza, il più importante giornale di Varsavia, che a volte il Papa tendeva a diffidare della devozione di massa, ma aveva anche grande rispetto nei confronti di chi, con la fede sincera, prendeva parte a processi simili. Per cui, ha spiegato Tarnowski, se Giovanni Paolo II potesse vedere con i suoi occhi la valanga di persone che oggi sarà a Roma, per la sua canonizzazione, sorriderebbe.

La città sarà invasa da migliaia e migliaia di pellegrini. Sui numeri è il solito balletto: ottocentomila, un milione, forse persino di più. Una grossa fetta di questo afflusso gigantesco di fedeli arriva logicamente dalla Polonia, da dove sono attesi 1700 autobus, 58 voli e cinque treni speciali.

Un gregge tanto vasto ricorda il tasso di religiosità, molto alto, della Polonia. Le cui ragioni vanno oltre il fenomeno Wojtyla. Conta molto la geografia politica e divina, vale a dire il vivere sul crinale tra la cristianità occidentale e quella orientale. Ma pesa soprattutto il ruolo che la Chiesa ha avuto tutte le volte che la Polonia è stata spartita o vilipesa nel corso della sua travagliata storia. In questi periodi la Chiesa fu il soggetto che più di ogni altro, vantando radicamento in ogni livello della società, si è caricata sulle spalle il compito di difendere e conservare la linfa della nazione.

L’arrivo a Roma dei pellegrini polacchi ricorda il forte attaccamento tra popolo e Chiesa, certamente. Ma al tempo stesso inganna e confonde, dato che negli ultimi anni questo rapporto così intenso ha subito non pochi scombussolamenti.

Intanto, le chiese sono meno gremite. Da una parte è naturale. La secolarizzazione avanza. È finito il tempo del comunismo, quando la chiesa era anche rifugio politico. È iniziato quello della modernità e dei consumi, del mercato e dell’ascesa sociale. I polacchi si allontanano di conseguenza dall’altare, seguendo la traiettoria seguita da altri concittadini europei.

Si comprime il perimetro del gregge, ma anche il numero dei pastori. La secolarizzazione ha avuto ripercussioni sulle iscrizioni nei seminari della Polonia, grande fucina europea e mondiale di sacerdoti. Nel 2010 il numero di studenti che frequentano gli istituti vocazionali era sceso, prima volta in tanti anni, sotto le quattromila unità. Gli ultimi dati, forniti qualche mese fa, registrano un’ulteriore emorragia. Si è calati ancora, stavolta sotto quota tremila. Anche gli ordini religiosi femminili riscontrano una dinamica simile.

La secolarizzazione ha anche una variabile politica. Nel 2010 il partito Ruch Palikota (prende il nome dal fondatore Janus Palikot), formazione libertaria che sostiene il diritto all’aborto e propone l’abolizione dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica e la sospensione dei trasferimenti finanziari dello Stato alla Chiesa, ha ottenuto il 10%, sbancando. Il Ruch Palikota, tra l’altro, ha mandato in parlamento Anna Grodzka e Robert Biedron. L’una transessuale, l’altro gay. Sono stati i primi esponenti del movimento Glbt a diventare onorevoli.

Il successo del Ruch Palikota fotografa i cambiamenti sociali in corso e dimostra che la società polacca è molto meno chiusa di quello che appare. Non va comunque dimenticato che anche la Piattaforma Civica, il partito del primo ministro Donald Tusk, ha cercato, benché con molta cautela, di mettersi al passo con i tempi. Tusk ha rivoluzionato il sistema dei trasferimenti statali alle chiese, ora legati alle scelte individuali dei contribuenti, oltre a cercare di promuovere una legge sul matrimonio gay. Non è passata, né in parlamento e né nell’ala conservatrice del suo partito.

Non tutto, nella curva discendente della fede in Polonia, dipende comunque dall’evoluzione della società. Anche la Chiesa ha contribuito all’erosione del suo prestigio e del suo seguito. S’è troppo spesso intrufolata nelle vicende della politica e non poche volte ha peccato di conservatorismo. Tant’è che molti alti ecclesiastici polacchi non tollerano le rotture operate da Bergoglio.