Per il capogruppo degli eurosocialisti, il democratico Gianni Pittella, la giornata di ieri ha rappresentato «l’avvento della democrazia parlamentare nell’Unione europea». Un momento storico, dunque. Peccato sia una clamorosa esagerazione: se è indubbiamente un passo in avanti il fatto che Jean-Claude Juncker sia diventato presidente della Commissione in virtù di un’indicazione del Consiglio dei capi di governo «tenuto conto delle elezioni» (come recita il Trattato Ue), siamo ancora ben lontani da una vera democrazia nella Ue.

Limitandosi al piano puramente formale, le «anomalie» sono molte: i commissari sono indicati dai governi nazionali (e quindi anche gli «anti-Juncker» di destra David Cameron e Viktor Orbán avranno ciascuno il proprio), al Parlamento manca il potere di proporre le leggi (ha solo quello di approvarle), e, soprattutto, il Consiglio dei capi di governo è il vero centro decisionale. In barba a ogni spirito comunitario o parlamentarismo.

Ci sono almeno altre due ragioni per assegnare l’affermazione di Pittella (peraltro bravo nel ricordare il massacro di Gaza) più al mondo della fantasia che a quello della realtà. La prima è puramente «politica», e riguarda proprio il gruppo socialista. In una democrazia parlamentare, nei momenti solenni come quelli dell’investitura di un nuovo esecutivo, i gruppi parlamentari votano compattamente: è il momento massimo di espressione della propria linea politica. Ieri, invece, la famiglia socialista europea ci ha offerto uno spettacolo diverso: il capogruppo ha tenuto un appassionato discorso annunciando il convinto «sì» della sua truppa al presidente designato Juncker.

Un sostegno – sia detto en passant – che è apparso quasi più sincero di quello espresso nel suo marcato accento bavarese dal capogruppo del Ppe Manfred Weber. E tuttavia, tre importanti delegazioni nazionali all’interno del gruppo socialista hanno votato contro: francesi, spagnoli e britannici.

Indiscutibilmente, non è un inizio scintillante per il «nuovo Pse» a trazione renziana. Partiti come il Ps di François Hollande, il Psoe del neosegretario Pedro Sánchez e il Labour di Ed Miliband non sono forze qualsiasi, ma di primo rango. Nessuna di loro gode di buona salute in questo momento (francesi e spagnoli sono usciti con le ossa rotte dalle elezioni), ma restano pur sempre, insieme alla Spd tedesca, le organizzazioni che nel corso dei decenni hanno dettato la linea dei socialisti in Europa. Loro sono il socialismo europeo molto di più di quanto non lo sia il Pd, che, va ricordato, è soltanto da qualche mese parte a tutti gli effetti del Pse. E dunque, la loro scelta «in dissenso» dall’indicazione del capogruppo non può essere considerata un dettaglio, ma una dimostrazione chiara del fatto che una dimensione autenticamente europea della democrazia parlamentare ancora non c’è.

Va da sé che il voto contro Juncker è molto più coerente con le posizioni che i socialisti avevano espresso prima del voto del 25 maggio: è ciò che dicono tanto i francesi quanto gli spagnoli. La loro scelta, in sé positiva, puzza però lontano un miglio di opportunismo, essendo una scelta propagandistica a fini di politica interna: se i loro voti fossero stati determinanti, i renitenti di ieri avrebbero senz’altro votato per Juncker, sia perché la «grande coalizione» è da sempre la linea dei socialisti in Europa, sia perché il lussemburghese, è, fra i popolari, il meno distante da loro.

Ma c’è una seconda ragione per la quale «l’avvento della democrazia parlamentare» è ben lungi. È un motivo più «di sostanza», e cioè il Ttip: il Trattato di libero scambio Ue-Usa, al centro della discussione pomeridiana di ieri a Strasburgo. La Commissione (quella uscente!) lo sta negoziando in gran segreto e senza autentico mandato, negando un vero accesso ai documenti agli stessi eurodeputati. E con il nuovo round di discussione ha aperto anche il delicato dossier dei servizi pubblici, che rischiano di diventare «merce» qualsiasi. Juncker ha promesso vagamente più trasparenza: una generosa concessione che, purtroppo, nessuno è obbligato a pretendere davvero. Come sarebbe, invece, in una normale democrazia parlamentare.