E ora cosa accade? La domanda cruciale del giorno dopo il referendum sui fondi comunali alle scuole dell’infanzia private a Bologna non porta con sè un’unica risposta. Il sindaco Virginio Merola ha usato toni morbidi verso i referendari, annunciando il dialogo ma non mettendo in dubbio l’esistenza della convenzione con le scuole private che a suo dire «si può migliorare». È il segno che il primo cittadino non può ignorare il risultato della vittoria netta con il 59% dell’opzione A, quella che chiedeva di non destinare alle scuole d’infanzia private poco più di un milione di euro all’anno. D’altronde anche il ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza ieri ha annunciato che questo voto stimola una riflessione sul ruolo del servizio pubblico in rapporto alle scuole parificate. E nonostante alcuni esponenti del Pd come la senatrice bolognese Francesca Puglisi abbiano liquidato la consultazione ritenendo l’affluenza troppo bassa, ha votato il 28,71% degli elettori, c’è chi come Romano Prodi non ha avuto difficoltà a dire: «I referendum si accolgono. Io ero per l’opzione B, ha vinto l’opzione A. Il referendum ha raccolto i voti di coloro che più erano interessati con un’eredità di forti problemi e forti tensioni».
L’ex presidente del consiglio ha colto il nocciolo della questione. L’esistenza in città di un elettorato che difende la scuola pubblica e che in larghissima parte è elettorato del centro sinistra. C’è chi come il segretario regionale della Fiom Bruno Papignani ha fatto notare che 50 mila voti sono la metà di quelli che hanno portato all’elezione del sindaco Virginio Merola nel maggio del 2011, insomma c’è chi vede questo voto come un avviso inequivocabile al consenso che ha ottenuto l’amministrazione che governa la città e più in generale al centro sinistra. E poi c’è un altro dato da non sottovalutare. La sfida dei referendari, da Davide contro Golia, li ha portati comunque alla vittoria. Nel fronte opposto, un’alleanza vastissima che andava dal Pd al Pdl, alla Lega Nord, l’Udc e la Curia, evidentemente non si è mossa la base democratica ed è stato poco presente ai seggi il voto cattolico.Il referendum potrebbe avere conseguenze politiche sulla tenuta della maggioranza. Sel, l’alleato di Merola, ha fatto sapere che «Non ci saranno più deleghe in bianco». «Il nostro gruppo – ha detto la capogruppo in consiglio comunale Cathy La Torre a proposito delle deleghe in bianco – non perderà occasione per ricordarlo a questa amministrazione e a quella parte della politica che pensa di poter consultare i propri cittadini solo in occasione delle tornate elettorali non a caso sempre più disertate». Da qui alla minaccia di uscire dalla maggioranza c’è una certa distanza soprattutto perchè il sindaco non ha rivolto toni minacciosi verso l’alleato. «La maggioranza non è a rischio – ha detto – ma è a rischio il fatto di non interpretare in modo corretto il risultato di questo referendum. C’è l’occasione di stare insieme, ognuno valuti se la vuole cogliere».
Sul merito del finanziamento alle scuole materne private, la questione è apertissima. Merola non la mette in dubbio, mentre i padri nobili del fronte del B come l’economista Stefano Zamagni sostengono che la «convenzione si può migliorare». Per i referendari è un segnale incoraggiante anche se non coglie il cuore del problema. «Prima bisogna evadere tutta la domanda delle famiglie che chiedono la scuola pubblica» sostiene Giovanni Cocchi, insegnante e tra gli animatori del comitato Articolo 33 che ha promosso il referendum. A Bologna ci sono bambini esclusi dalle scuole pubbliche, mentre nelle materne private ci sono ancora posti liberi. Dopo il voto referendario ci sono tre mesi nei quali il consiglio comunale dovrà recepire l’indicazione degli elettori. Il 18 giugno in città si riuniranno gli stati generali della scuola che i referendari si augurano non sia «una vetrina». E poi ci sarà la delibera sulla convenzione che l’anno scorso è stata votata a luglio. Per la cronaca passò con i voti del Pd, Pdl e della Lega, Sel si astenne, il M5S votò contro.