In Italia vivono circa 25mila rom e sinti in baraccopoli formali ed informali. Lo stigma delle destre e le campagne securitarie che tracimano nell’odio, dunque, riguardano una percentuale davvero minima della popolazione, lo 0,4%, che tra l’altro è in costante calo a causa della crisi economica e delle drammatiche condizioni di vita in cui sono costretti. Questo è uno dei dati contenuti dal rapporto annuale I margini del margine presentato ieri alla camera dall’Associazione 21 luglio.

Da tempo, i rapporti di questa organizzazione hanno scelto di accostare gli insediamenti etnici che nella gran parte dei casi sono stati costruiti dalle istituzioni agli standard internazionali degli slum. Ecco perché le chiamano baraccopoli, con una definizione che ricorda le case autocostruite dei sottoproletari che fino a pochi decenni fa rappresentavano una costante nelle periferie delle grandi città e che ancora oggi costituiscono pezzi di metropoli del sud del mondo. In Italia, amministrazioni locali e governi di diverso colore politico hanno cercato di governare il fenomeno promettendo sempre che questi luoghi sarebbero stati soltanto una soluzione temporanea. Per restare a Roma, che è stato l’epicentro delle politiche sui rom dagli anni novanta in poi, sono stati chiamati nei modi più svariati: dai «villaggi della solidarietà» di Veltroni ai «campi attrezzati» di Alemanno.

Ad oggi, recita il rapporto, si contano 127 «baraccopoli istituzionali» in 74 diversi comuni. Qui vivono attorno ai 15mila rom, mentre gli altri diecimila abitano baracche costruite in villaggi informali e microinsediamentii. A Roma questi piccoli nuclei di baracche, dove vivono principalmente cittadini rumeni, sono 300, a Milano circa 130. In entrambi i casi, che si tratti di baraccopoli istituzionali o di accampamenti informali, abitarli fa male alla salute: «L’aspettativa di vita di chi sta in questi luoghi è almeno di dieci anni inferiore rispetto al resto dei cittadini», spiegano gli autori del rapporto. Tra questi Carlo Stasolla, che afferma: «La protesta di Torre Maura è una scintilla che può accendere tanti focolai in giro per l’Italia». Nel corso del 2108, il rapporto ha catalogato 125 episodi di discorsi d’odio nei confronti di rom e sinti. «E non bisogna dimenticare che più dell’89% dei discorsi d’odio nasce dai politici, che hanno una responsabilità enorme di questa situazione».

C’era anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, che ha ricordato di aver presentato «per la prima volta» un ricorso al Comitato Europeo dei Diritti sociali. «Rom e sinti sono una ‘minoranza invisibile’ – ha spiegato Noury – che periodicamente diventa il problema e alla quale la politica non dà risposte. Si riproduce la guerra tra ultimi e penultimi nelle periferie italiane perché non si prendono decisioni basate sui diritti e si continuare a pensare ai rom alla stregua di pacchi da scaricare da qualche parte, senza neanche avvisare il destinatario».

Ci sono anche buone pratiche, esempi positivi. Il rapporto cita i casi dei comuni di Moncalieri, Sesto Fiorentino, Lamezia Terme e Palermo. «Per questi ultimi comuni – ha detto Carlo Stasolla dell’Associazione 21 luglio – si tratta di risposte da osservare con attenzione e da sostenere, perché rappresentano una nota di discontinuità nel panorama nazionale. Il superamento dei campi rom è la sfida più grande, ma non ci sono alternative: è l’unica percorribile».