Gli argomenti che usa Antonio Gibelli vanno ripresi con attenzione perché ricorrono spesso negli incontri pubblici in vista del referendum. Molti elettori di sinistra temono, in effetti, che il M5S o le destre possano rivendicare la paternità del successo del no. E per questo decidono di dare un sì, dichiaratamente poco convinto, alle riforme. Avallare un incauto plebiscito sarebbe per loro cedere al male minore, in una situazione di gran tempesta.

Questa apparente prova di buon senso nasconde però insidie molto scivolose. In politica, suggeriva Machiavelli, è preferibile affrontare un inconveniente per volta. Solo dopo aver risolto un nodo si può pensare a scioglierne un altro. E non è detto che, proprio lasciando passare il male minore (la manomissione della Carta), per scongiurare un guaio più consistente (la rivendicazione di paternità delle opposizioni), poi non si aiuti anche il trionfo del pericolo più temuto. Cioè è assai probabile, nei conflitti politici, che i due mali si assommino. Si può così determinare una vittoria del populismo avendo rinunciato anche alla difesa della Costituzione come carta inviolabile, per chi ha solo il 25 per cento dei suffragi.

Il problema è che il capolavoro politico del governo, con i suoi “aberranti” argomenti a sostegno del sì, prepara una soluzione plebiscitaria alla crisi. Se l’esitazione a dare un no è legato al rischio percepito di una futura marcia trionfale del M5S, andrebbe considerato però che il non-partito di Grillo potrebbe lucrare un grande plusvalore politico (forse persino maggiore) anche in caso di una affermazione del sì. Con la vittoria governativa nel plebiscito, che comunque annichilisce il senso di una Costituzione come casa comune, proprio il M5S diventerebbe, infatti, il solo baluardo rimasto contro l’involuzione verso un incerto regime a conduzione personale.

Non ci sarebbe più alcuna velleità di ricostruire una sinistra. Le stesse minoranze interne al Nazareno verrebbero umiliate e costrette all’abbandono. E il Pd diventerebbe un irrecuperabile partito personale indotto all’obbedienza sotto l’arbitrio di un leader che dialoga con la folla con il solo simbolo della mela e penetra nei territori con gli sceriffi, i notabili, gli affaristi, i De Luca. Solo il M5S potrebbe raccogliere il risentimento di milioni di cittadini dinanzi a una contrazione della democrazia costituzionale.
Va considerato che, in caso di successo del no, saranno almeno 6 milioni (il 25 per cento del Pd, il 30 per cento che già ha scelto il M5S, i sostenitori della sinistra radicale, gli astenuti critici) i cittadini di sinistra ad aver votato no il 4 dicembre. E lasciarli senza rappresentanza sarebbe una incauta follia. Si tratta di una porzione di popolo che il Pd, rifugio dei poteri forti e padronali, non può più in alcun modo intercettare.

Si aprirebbe, solo con il no, uno spazio di movimento rilevante e anche una fase di competizione positiva con il M5S, che interpreta ormai una frattura storica ed è sbagliato classificare come una meteora o una barbarica minaccia. Una evoluzione costruttiva del movimento rientra nell’interesse generale della democrazia. Non si può pensare ad un sistema a immunizzazione diffusa contro gli alieni ed entro cui solo il 25 per cento del Pd è legittimato a governare.

Con il sì il governo avrebbe una sanatoria generale per aver strapazzato la carta, per aver sfidato l’opinione di tutti e venti gli ex presidenti e vice presidenti della Consulta, per aver stracciato l’articolo 18 e reso eterna la precarietà. Dinanzi a questo scenario, proprio il populismo di governo, che maltratta i diritti del lavoro e restringe l’investitura democratica delle istituzioni di rappresentanza, è destinato ad essere travolto.

La demonizzazione dei “populisti” per questo non serve. La invocazione a votare con la “pancia” non si cura certo con la “pancetta” renziana che vede il capo di governo inveire contro la casta, i costi, i politici. Questi ritrovati maldestri sono un energetico per le forze della destra antipolitica. Che vedono così trionfare il loro linguaggio, i loro simboli. Un governo che accarezza la tigre dell’antipolitica non è una risorsa su cui contare in tempi di aspri rivolgimenti. Lo spiegava bene Gramsci. La biscia è la prima ad essere morsa dal serpente. Cioè il demagogo è la prima vittima della propria demagogia. Difendere la costituzione è la sola prova di saggezza.