«In quanto regista, il mio lavoro era di rendere i temi della tragedia il più vividi, contemporanei e viscerali possibile. La domanda che si pone il Giulio Cesare è come si protegge una democrazia quando un demagogo minaccia ciò che ami. Dovevo far sì che il pubblico si interrogasse su quello». Così, in un’intervista pubblicata sul Washington Post di giovedì, Oskar Eustis, direttore del Public Theater riflette sulla controversia scoppiata intorno alla produzione della tragedia shakespeariana messa in scena dal Public nell’ambito della popolare serie estiva Free Shakespeare in the Park. Dopo l’incredibile ritirata di Bank of America e (ancora più grave) della Delta Airlines, che ha tagliato l’intera sponsorizzazione al Public, non solo quella legata al Giulio Cesare, il caso si allarga e diventa più preoccupante. Appena eletto, Trump aveva annunciato il taglio dei finanziamenti federali alla cultura, tradizionalmente vista con sospetto e demonizzata dal suo brand di populismo bifolco, ma la facilità con cui Fox News, Breibart e la rete siano riusciti a far sì che due potenti corporation si dissociassero da un’istituzione come il Public lascia intravedere cose molto peggiori della cancellazione del National Endowment of the Arts.

Giovedì, in una riunione con gli azionisti, la prima domanda al CEO di Time Warner Jeff Bewkes è stata proprio su quest’argomento. «Non smetteremo certo di sostenere il Public» ha risposto Bewkes, ricordando che «il nodo della tragedia lo si dibatte da 400 anni. E non ha nulla a che vedere con la difesa del l’assassinio di Cesare ma dimostra come, in effetti, quell’assassinio non porti a nulla». Una delle ragioni per cui questa tragedia si studia a scuola è proprio per la lezione che ci insegna sui rischi della tirannia», ha detto ancora Bewkes. «E, nel caso dei senatori che uccidono Cesare, credo che la tragedia sia chiara: non è una soluzione».
L’idea del CEO costretto a difendere Shakespeare è surreale. Ma non meno dell’annuncio, il 7 giugno scorso, da parte della Sony Home Entertainment della messa in circolazione, su piattaforma online e in tv, di una «clean version», una versione «ripulita» (teoricamente di violenza, sesso e linguaggio offensivo), ad «uso famiglia» di 24 dei suoi film più famosi tra cui Spiderman e Ghostbusters. L’iniziativa – motivata, secondo lo studio, da feedback dei consumatori- è stata immediatamente denunciata da registi come Judd Apatow che ha invitato lo studio «a infilarsi nel culo la versione ripulita dei film»), Adam McKay e Seth Rogen e da un comunicato della Directors Guild of America, il sindacato, che ha ribadito il diritto contrattuale dei registi di montare i propri film per qualsiasi piattaforma.

«Ci impegniamo a difendere con vigore (i registi) dall’alterazione non autorizzata dei loro film», concludeva il comunicato della DGA. Di fronte alle reazioni negative, la Sony ha fatto marcia indietro, annunciando che, qualora un autore non approvasse, lo studio ritirerà dalla circolazione la clean version (persino il termine è offensivo!) del film in questione. Ma lo slancio di autocensura involontaria rimane terrorizzante. Per Eustis, una dei risvolti più preoccupanti della querelle sul Giulio Cesare riguarda proprio quello: «Mi ha spezzato il cuore che il National Endowment of the Arts si sia sentito costretto a prendere distanze dallo spettacolo. A prendere le distanze da un’opera d’arte!» il direttore del Public si riferiva al fatto che, forse in risposta a un tweet di Donald Trump Jr, che chiedeva conto dei finanziamenti del Giulio Cesare, la NEA ha rilasciato una dichiarazione «preventiva» garantendo che nessun finanziamento federale era andato a beneficio di questa produzione di Free Shakespeare in the Park. Sì, siamo a questi livelli.

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