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Ma com’è friendly questo Aristotele!

Ma com’è friendly questo Aristotele!Connor Paolo nel ruolo del giovane Alessandro e Christopher Plummer in quello di Aristotele nel film di Oliver Stone Alexander, 2004

Casi critici Una antichista del King’s College ci testimonia in dieci lezioni «da caminetto» l’utilità pratica del pensiero dello Stagirita: la traduce Einaudi

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 maggio 2019

Basta con il «maestro di color che sanno», il sistematico catalogatore del mondo, il pensoso barbuto sapiente che nell’affresco della Scuola di Atene indica con il dito la terra: esiste un Aristotele assai più moderno e friendly, che viene finalmente rivelato da Edith Hall, classicista britannica. Esiste infatti Il metodo Aristotele Come la saggezza degli antichi può cambiare la vita (trad. di Duccio Sacchi, Einaudi «Frontiere», pp. 285, e 19,50). Nella scrittura brilliant di Hall, il filosofo di Stagira è un uomo colto, un individuo sereno e risolto, con una giovinezza ricca di stimoli e opportunità, e una dottrina vasta e aggiornata, utilissima a noi, right now. Un professore bravissimo che però non era professorale, ma anche un fine umorista, un appassionato di cibo. Un pensatore capace di altezze filosofiche, ma pronto a farsi gradevole divulgatore a uso dei più. Uno soprattutto che ci può guidare verso la vita felice: come si sa, era il suo obiettivo, non meno che il nostro. Ecco allora Aristotle’s Way. Così il titolo originale: evoca un poco Frank Sinatra, ma non importa. A proposito: la copertina originale mostra una donna che si tuffa. Sarà forse l’autrice, soddisfatta del proprio lavoro, dopo aver visitato tutti ma proprio tutti i luoghi dove Aristotele è vissuto? L’edizione italiana, meno coraggiosa, esibisce invece un ritratto di Aristotele, rivisitato in grafica moderna.
Il percorso si dipana in dieci capitoli sapientemente ordinati, relativi a: felicità, potenziale, decisioni, comunicare, conoscenza di sé, intenzioni, amore, comunità, tempo libero, caducità. Hall vuol mostrare come in ciascuno di questi settori Aristotele ha ragionato con pacata saggezza, e costruisce il ritratto di un autentico sapiente, lontano da ogni pedanteria, conoscitore della gioia di vivere, maestro di felicità (eudaimonìa), ossia dell’unico valore moderno (happyness). Un genio, purtroppo poco conosciuto finora nel suo vero e attualissimo volto, perché confiscato dalla fumosità di muffiti filosofi e perché alle sue opere è mancato lo slancio di «traduzioni idiomatiche» (?!?). Per presentare l’autore in modo gradevole, Hall attinge alle tradizioni antiche, aggiungendovi molte formulazioni attualizzanti o psicologismi utili a colmare i vuoti narrativi: si apprende così che Aristotele dovette avere una famiglia «affettuosa» (?) e fu indirizzato nelle scelte anche da suggerimenti paterni o da esperienze dirette di vita, fino al decisivo momento in cui «si iscrisse» all’Accademia di Platone (mandò una application? superò un test d’ingresso? affrontò un colloquio con il preside Aristocle?).
Si distingue bene in questi e altri tratti il contributo autobiografico dell’autrice. Hall si pone come primo testimonial del prodotto («Fate come me, usate Aristotele!»). Richiamando costantemente le situazioni in cui le teorie e i consigli del filosofo l’hanno aiutata a superare passaggi decisivi dell’esistenza, l’autrice vuol provare oltre ogni ragionevole dubbio che Aristotele è il più attuale tra tutti i filosofi, quello che ha trattato o anticipato o previsto tutti, ma proprio tutti, i temi centrali nella nostra vita, più o meno felice. Si impara anche, con un certo dettaglio, a utilizzare le categorie aristoteliche della retorica per farsi assumere all’università (ah, se si fosse letto Hall per tempo!), si suggerisce di impiegare quelle dell’etica come «test di autovalutazione», si ricorda l’uso di un ritratto di Socrate come «sussidio didattico» al Liceo (quello di Aristotele, che era, va da sé, una «Università»). Tutto è trattato e opportunamente virato in termini contemporanei e politicamente corretti: poca e ininfluente la contestualizzazione storica, depotenziato ogni problema politico. Su uno sfondo largamente rasserenato (altro che il «mestiere pericoloso» dei filosofi antichi, che altri ha riconosciuto), si apprende che Aristotele era sostanzialmente un democratico, un conoscitore della psicologia; che era consapevole del relativismo culturale, che amava gli animali, che si interessava al tempo libero, che rispettava le religioni ma era contrario a ogni rigidità (quindi perfetto antidoto contro il fanatismo), che sosteneva teorie economiche che oggi piacerebbero ai conservatori come ai socialisti, che era favorevole all’istruzione pubblica, che era interessato all’ecologia (sì che non lascerebbe spazio ai negazionisti del mutamento climatico). Ne risulta un profilo, in sintesi, piuttosto liberal… Con un difetto, però, e grave: Aristotele non coltivava gli human rights. In particolare, pudet dictu, aveva idee molto riduttive sugli schiavi e sulle donne. Basterebbe ciò a bandire questa «macchia umana» dal consorzio dei dotti! Ma, spiega Hall, se Aristotele vivesse oggi si potrebbe facilmente convincerlo che questi aspetti della sua visione del mondo sono proprio sbagliati.
Dal monumento filosofico che abbiamo conosciuto al liceo (le nostre semplici scuole), nel racconto di Hall si passa al panorama fatto di un umanissimo buon senso pratico. Il tono dell’esposizione, a seconda del tema, passa dal parere della zia esperta al tutorial motivazionale in azienda, ma si eleva talora verso un bonario counselling filosofico. Hall lo ha rivelato in un saggio del 2017: Aristotele è un role model for the twenty-first century academician. Anche senza conoscere quest’opera fondamentale, il lettore ci arriva da sé: il libro presenta Aristotele come il collega che ciascun accademico (britannico) vorrebbe accanto nelle cene alla high table. E chissà come lo Stagirita (sì, questa formula stantia ricorre speso nel libro: non so se già nell’originale) risponderebbe alla domanda di prammatica: «Which is your main subject?».
Basta dunque leggere Hall, non val la pena di passare a Aristotele. Si individueranno le cose che ci rendono davvero felici, comprenderemo le nostre potenzialità, impareremo a prendere decisioni, a comunicare, a conoscerci, a amare, a vivere con gli altri, a gestire il nostro tempo, a fare i conti anche con la nostra limitatezza mortale. What else? Il libro non cerca di essere un saggio di ricerca, né filosofica, né storica, né filologica o letteraria, ma una benefica opera di divulgazione. Forse per questo il testo non ha richiami di note: il lettore quindi ignora da quale opera di Aristotele, per dire, derivino i passi citati. Li troverà indicati, con sorpresa, solo quando giungerà a pagina 261, quando insomma il dato gli serve poco. I «testi di approfondimento» («bibliografia» è concetto professorale, respingente, vitando!) sono naturalmente solo in inglese, con evidente vantaggio per il lettore italiano che non disponga di una biblioteca universitaria specializzata. Ma perché poi quei titoli? Tutto il libro invita a sbarazzarsi di decenni o secoli di ricerche, preferendo il tono della conversazione da caminetto: semplificare comporta qualche rischio, ma forse prevalgono i giovamenti. L’aneddotica di supporto è largamente orientata a un pubblico britannico: certo è più agevole riferirsi a un film che alle non-così-abbordabili opere di Aristotele (specie se tradotte in modo non «idiomatico»).
Largo spazio, come detto, trova la vita dell’autrice: apprendiamo per esempio che il commiato dalla madre novantenne morente è stato sorretto da pensieri aristotelici. A ogni pagina compare il gioco anacronistico di chiedersi che cosa Aristotele avrebbe fatto o detto, pensato o approvato, se alle prese con le situazioni che purtroppo l’epoca in cui visse non gli fece incontrare: il tutto, ripetuto decine di volte, stucca assai. Davvero è utile dire che oggi Aristotele ‘scienziato della natura’ girerebbe documentari alla David Attenborough (p. 188)? La separatezza dei «tecnici» ha certo fatto danno, non solo alla filosofia antica; ma la riduzione di ogni discorso complesso al livello di Alberto Angela è un eccesso che impoverisce. La divulgazione dovrebbe essere in funzione del «popolo»: ma talora diventa la forma suprema di narcisismo, giacché consente di esibire se stessi prendendo a pretesto altri, perfino Aristotele.

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